La ricerca di Welfare Company e Aidp sullo stato del welfare aziendale in Italia
di Valentino Santoni *
Welfare Company, società specializzata in soluzioni di welfare aziendale e pubblico, in collaborazione con Aidp (Associazione Italiana Direzione Personale), ha recentemente presentato i dati di un’interessante ricerca – condotta dal Prof. Luca Pesenti (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) – sulla diffusione del welfare aziendale nel nostro Paese. Valentino Santoni ci presenta i principali risultati.
La ricerca e il campione
I dati dall’indagine sono stati rilevati attraverso la somministrazione di 326 questionari ad altrettanti direttori e manager del settore HR, provenienti da aziende di tutta Italia. Le imprese, individuate grazie al database di Aidp, contano per il 60% oltre 250 dipendenti, mentre solo per il 15% dei casi si tratta di realtà di piccole dimensioni. Per quanto riguarda il settore di appartenenza, l’industria (con il 47%) e il settore dei servizi (con il 41%) sono quelli maggiormente rappresentati.
Dai risultati della ricerca emerge che circa il 67% delle imprese intervistate prevede al proprio interno almeno un benefit di welfare: si tratta per lo più di interventi di lunga data, dal momento che in sei aziende su dieci si fa welfare da oltre tre anni. In ogni caso il 18,4% del campione ha introdotto welfare negli ultimi dodici mesi, e nella quasi totalità di questi casi le agevolazioni fiscali previste dalla nuova normativa sono risultate un movente rilevante.
Ma l’agevolazione fiscale non sembra rappresentare il motivo preponderante per spiegare l’attivazione di un piano di welfare. Quando, infatti, viene chiesto quali siano le ragioni che hanno spinto l’impresa ad intraprendere la “strada del welfare aziendale”, l’81% del campione afferma che l’obiettivo principale è stato quello di migliorare il clima lavorativo e ridurre al minimo la conflittualità interna.
I servizi più diffusi e gli aspetti organizzativi
In media ogni azienda ha attivato circa 5 benefit, relativi in media a 2 aree di bisogni di welfare tra servizi per la conciliazione vita-lavoro, servizi per le non autosufficienze, sanità, orari di lavoro e altri benefit (inclusi quelli relativi ai pasti, ai trasporti, ai consumi e al tempo libero). Se si approfondisce questo dato, però, scopriamo che circa 1 azienda su 3 presenta un ventaglio di servizi molto più ampio (otto o più benefit) e molto più vario (benefit riferibili a quattro o cinque diverse aree di bisogno).
I benefit e i servizi più diffusi sono le mense aziendali e i buoni pasto (60%) (considerati dalla ricerca come parte integrante del mondo del welfare aziendale, anche se più vicini alla dimensione del benefit economico), la flessibilità degli orari (46%), le polizze sanitarie (41,4%), le convenzioni per il consumo (38,2%), l’assistenza sanitaria (36,8%) e i benefit per lo studio dei figli (30%) (Figura 1).
Da sottolineare poi che gli impiegati e quadri possono tendenzialmente contare su maggiori strumenti in termini di flessibilità oraria e su una maggiore quota da destinare ai benefit e al welfare: per la precisione, i dirigenti ricevono in media circa 3.000 euro di benefit, i quadri 1.700, gli impiegati 1.200 e gli operai 800.
Secondo gli autori della ricerca, i quali hanno cercato di approfondire a livello statistico i dati rilevati, le variabili aziendali che aumentano la probabilità di strutturare un piano di welfare sono:
- il settore produttivo, in quanto nel settore industriale si fa più che altrove;
- le dimensioni aziendali, dato che al crescere del numero dei dipendenti e del fatturato cresce la propensione al welfare;
- l’area geografica in cui è situata l’impresa. In particolare, nel Nord-Est sembra esserci una maggior propensione rispetto alle altre aree;
- la composizione di genere: paradossalmente c’è più welfare dove ci sono meno donne;
- il tasso di sindacalizzazione: dove il sindacato pesa di più c’è anche più welfare. Queste tendenza sembra essere un segnale di una crescente propensione collaborativa delle organizzazioni sindacali, confermato dal fatto che solo nel 18% dei casi si parla di un sindacato oppositivo o disinteressato. Allo stesso tempo, è da segnalare che circa il 41% delle aziende lamenta una preparazione non adeguata da parte dei sindacati su questi temi.
La gestione del welfare e le prospettive future
Sul piano della gestione del welfare, cresce la presenza di provider di servizi nella gestione del welfare: nel 2016 erano, infatti, il 18%, mentre oggi sono presenti nel 25,5% delle aziende. Secondo gli intervistati, la scelta del provider dipende soprattutto della capillarità della rete di servizi disponibili e in subordine dalla semplicità di utilizzo dell’interfaccia (cioè della piattaforma, del portale o degli altri strumenti destinati all’erogazione di servizi); meno rilievo è dato invece ai costi e alle tempistiche di erogazione dei servizi (Figura 2).
Infine, per il futuro la ricerca mostra che il 41% del campione è già al lavoro per introdurre un piano di welfare o ampliare quello esistente, mentre un ulteriore 27% ha intenzione di lavorarci. Nello specifico, il 28.2% del campione sta lavorando sui benefit materiali, il 22.7% sull’assistenza sanitaria, il 21.8% sui benefit per lo studio dei figli e il 21.4% sulla polizza sanitaria. Per il 33,6% del campione, comunque, il punto che nei prossimi anni conoscerà uno sviluppo maggiore è quello dello smart working (Figura 3).
*Il presente articolo è stato pubblicato su Secondo Welfare, il 19 luglio 2017