Welfare, il nuovo ruolo delle aziende per trasformarsi in innovatori sociali
Per creare un welfare equo è necessario offrire alle persone piani di welfare che tengano conto delle loro esigenze e che mettano in condizione di essere tutti alla stessa “altezza”
Intervista a Alberto Perfumo, Amministratore Delegato di Eudaimon
di Dario Colombo
Il welfare aziendale? Altro che buoni di acquisto: ciò su cui devono puntare le aziende è colmare un vuoto destinato a crearsi (in realtà già ora è ampio) a causa del welfare pubblico vicino al collasso. Tradotto significa investimenti in servizi che abbiano una funzione sussidiaria o abilitativa. “Il welfare pubblico non è in grado di rispondere alle nuove esigenze dei cittadini e quindi serve un nuovo modello nel quale devono intervenire nuovi attori. E questi possono essere, per esempio, le aziende”, spiega Alberto Perfumo, Amministratore Delegato di Eudaimon, società leader nella progettazione e nella gestione di servizi di welfare e benessere, destinati ai collaboratori aziendali e tra le fondatrici dell’AIWA (l’Associazione che riunisce i provider di welfare aziendale). “Chi riveste questo ruolo può definirsi ‘innovatore sociale’, perché contribuisce a definire il nuovo modello di welfare”.
Oggi, a distanza di circa 15 anni dai primi progetti di welfare aziendale di Eudaimon, realtà che opera nel mercato dal 2002, il panorama è profondamente cambiato: prima della crisi, il welfare aziendale era un tema riservato alle grandi aziende che si sentivano ‘innovatrici’ prendendosi cura delle loro persone; oggi, soprattutto grazie agli stimoli del Governo, il welfare aziendale è praticamente di dominio diffuso. Anche se, spesso, lo si confonde con il benessere di chi lavora nell’organizzazione, arrivando appunto a parlare di buoni di acquisto (per esempio quelli per palestre, cinema, ecc.) che in realtà, pur prendendosi cura delle persone, non permettono alle aziende di ritagliarsi il ruolo di sostegno al welfare pubblico in difficoltà. Ecco perché in tema di buoni di acquisto si dovrebbe parlare più di “agevolazioni” che non di welfare aziendale, ammette l’Amministratore Delegato di Eudaimon.
“La ratio che si cela dietro alle normative in ambito di welfare aziendale è quella secondo la quale lo Stato accetta di incassare meno tasse e contributi dalle aziende che fanno welfare perché a fronte di questo vantaggio ci si aspetta che quelle risorse vadano a integrare un modello pubblico in crisi”, prosegue Perfumo. Che non nasconde tuttavia come il resto delle agevolazioni –quelle previste dall’Articolo 100 del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir)– siano tuttavia utili per “stimolare” un piano di welfare. “Il Legislatore non ha voluto introdurre norme stringenti sul tema perché voleva incentivare la nascita del modello alternativo a quello pubblico, senza neppure nascondere la volontà di stimolare anche i consumi”, chiarisce il manager. Ciò che ne è nato è però leggermente distorto rispetto all’obiettivo reale, visto che molte aziende declinano il welfare con una serie di “gadget” per le loro persone. “Serve maturare la consapevolezza che ci troviamo in un momento di transizione”, spiega Perfumo, richiamando sindacati e associazioni datoriali ad assumere un ruolo che li veda in primo piano nel “fare cultura” sul tema sia nelle imprese sia tra i lavoratori, perché le aziende hanno puntato soprattutto sugli sgravi fiscali, contribuendo alla distorsione del welfare e alla conseguente limitata diffusione.
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