Welfare aziendale, organizzazione del lavoro, flessibilità degli orari, maternità e paternità: un’analisi qualitativa dei contratti

da Dic 12, 2017Studi e approfondimenti

Contributo di ANPAL Servizi

 

I presupposti dell’analisi: scenario e inquadramento normativo

Il Rapporto CNEL sul mercato del lavoro prevede un approfondimento sul welfare aziendale contrattato. Il contributo prende spunto da un’analisi qualitativa di un centinaio di contratti collettivi, aziendali e territoriali, selezionati nell’ambito di un campione più ampio di 400 contratti (1). I testi degli accordi sono stati analizzati per predisporre un prototipo (tassonomia e base dati utilizzabile via web) per un’analisi qualitativa su un campione più rappresentativo. La base dati del Ministero del lavoro raccoglie tutti i testi di quelli depositati a seguito dell’entrata in vigore della norma sulla detassazione dei premi di produttività. In questa fase i contratti sono stati raccolti da ANPAL Servizi, grazie anche alla disponibilità della CISL, della CGIL, della UIL e di Federmeccanica.
Il focus dell’analisi è incentrato sulle soluzioni adottate nei contratti collettivi di secondo livello, riferite prevalentemente ai seguenti ambiti: organizzazione del lavoro, flessibilità degli orari, maternità e paternità, oltre al welfare aziendale finanziato con l’uso del Premio di risultato (PdR) o altre forme di finanziamento (risparmi, investimenti diretti). L’analisi svolta non ha criteri di esaustività rispetto al numero rilevante di contratti collettivi esistenti, tra cui quelli depositati contenenti misure di welfare aziendale.

Sono sempre più numerose le aziende, che investono sul benessere dei dipendenti. Nel corso degli anni più recenti le esperienze di welfare aziendale si sono sviluppate, anche alla luce degli interventi normativi introdotti in materia a partire dalla Legge di stabilità 2016. Quest’ultima ha infatti modificato gli art. 51 e 100 del TUIR sia ampliando la sfera di interventi assoggettati a trattamento fiscale agevolato, per aziende e lavoratori, sia superando il requisito della “liberalità” da parte del datore di lavoro ai fini della “detassazione” e, contestualmente, integrandone l’implementazione con la contrattazione di secondo livello, attraverso la convertibilità del premio di risultato in servizi di welfare.
L’intervento normativo è avvenuto attraverso fasi successive e ha interessato molteplici aspetti della disciplina. Nel 2016 è stata ripristinata, in modo strutturale, l’imposta sostitutiva del 10% riservata ai soli Premi di risultato, corrisposti a fronte di incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione conseguiti dall’azienda in un periodo predeterminato. Tali incrementi devono pertanto poter essere misurati attraverso degli indicatori numerici riferiti aziendalmente, basati su parametri oggettivi.

Per la prima volta, inoltre, è data facoltà al lavoratore e alla lavoratrice di convertire il premio stesso in prestazioni di welfare, esenti sia dal pagamento dei contributi da parte dell’azienda, sia dal pagamento dell’IRPEF da parte del lavoratore. Il tutto in esecuzione di un contratto di secondo livello aziendale o territoriale. I provvedimenti del Governo, infatti, hanno inteso incentivare la diffusione del welfare aziendale “contrattato”, superando così una anomalia per cui, prima della riforma, i beni e i servizi erano soggetti ai benefici fiscali solo se intesi come liberalità da parte dell’impresa. 

Il legislatore ha inoltre inteso incentivare ulteriormente il ricorso alle forme di integrazione di assistenza sanitaria e previdenza, costituite in base ai contratti collettivi nazionali, introducendo, nella Legge di stabilità 2017, alcune facilitazioni a favore della destinazione del premio a previdenza e sanità complementare. I contributi versati alle forme pensionistiche o sanitarie per scelta del lavoratore, in sostituzione di tutto o parte del premio in denaro, non concorrono a formare la parte imponibile delle prestazioni complementari versate e quindi non rilevano nel raggiungimento dei limiti massimi di contributi deducibili che ammontano, come è noto, rispettivamente a 5.165 euro per la previdenza e a 3.615 euro per la sanità. Questa scelta ha inteso rafforzare il ruolo “sociale” del welfare aziendale, pur non incidendo su altre categorie di welfare benefits, anche di natura ricreativa (2).

Dall’entrata in vigore della Legge di stabilità 2016, il numero dei contratti depositati con la procedura telematica è in costante aumento. Alla data del 30 novembre 2017 sono state compilate 27.914 dichiarazioni di conformità (moduli), redatte secondo l’articolo 5 del decreto interministeriale del 25 marzo 2016; di queste dichiarazioni, 15.139 si riferiscono a contratti tuttora attivi, di livello aziendale, 12.241, e territoriale, 2.898. La diffusione del welfare contrattato ha un riscontro attraverso l’andamento dei contratti depositati. Ai fini del monitoraggio, all’atto della compilazione della dichiarazione di conformità, l’azienda deve espressamente dichiarare se il contratto prevede o meno servizi di welfare aziendale. Dei 15.139 contratti attivi, 11.866 si propongono di raggiungere obiettivi di produttività, 8.728 di redditività, 1.413 di innovazione, mentre 2.009 prevedono un piano di partecipazione e 4.992 prevedono misure di welfare aziendale.

La contrattazione territoriale, ancora debole, ha trovato slancio negli accordi quadro stipulati a livello interconfederale per estendere i premi di risultato nelle imprese più piccole prive di rappresentanze sindacali: i moduli caricati dalle aziende sulla piattaforma ministeriale sono pari a 2.898. Si evince piuttosto un problema rilevante di distribuzione fra nord e sud del Paese, poiché la maggior parte dei contratti si riferiscono alle Regioni del Centro-Nord (Lombardia, 4.381; Emilia Romagna, 2.617; Veneto, 1.803 – Piemonte, 1.375; Lazio, 1.057; Toscana, 997) (3).

Assistiamo anche alla stipula di contratti di rete che, a livello diffuso, mettono a disposizione servizi tradizionalmente gestiti dalla bilateralità per le micro e piccole aziende, soprattutto nel settore dell’artigianato e del commercio. Questi tipi di contratti sempre più spesso utilizzano anche portali e puntano a creare delle sinergie per aumentare la tipologia dei servizi offerti e soprattutto il loro valore. Si stima che attraverso economie di scala il contratto di rete potrebbe consentire di aumentare il valore dei servizi, acquistati non a livello individuale ma collettivo, anche del 30% (4).

In questi contesti, anche la dimensione di pianificazione e gestione operativa dei servizi avrà sempre più rilievo, visto che si tratterà di rivedere quelli attualmente offerti dagli enti bilaterali di settore per evitare sovrapposizioni.

Il welfare aziendale, prima dell’emanazione della normativa sulla detassazione, era una prerogativa di alcune grandi aziende, che potevano sostenere questi costi, godere di alcuni benefici fiscali nell’ambito di un tetto (il 5 per mille del costo del lavoro) e in maniera volontaria e unilaterale. La dotazione economica, quindi, era adeguata a fronte di un numero sufficiente di dipendenti e non era frutto di contrattazione.
La norma offre la possibilità di inserire una gamma vasta di beni e servizi. Il loro mix dipende spesso dalla disponibilità di risorse economiche, dall’esperienza e dalla capacità di seguire l’evoluzione delle effettive esigenze delle persone. Con un ciclo di vita dei servizi
che per essere percepito dai lavoratori come un valore aggiunto dovrebbe seguire il ciclo di vita delle persone.

Il contesto si è ulteriormente arricchito a seguito della possibilità di convertire il Premio di risultato in welfare aziendale, con il risultato di una maggiore diffusione quantitativa del welfare aziendale. La rivisitazione dei Premi di risultato con l’introduzione della possibilità per i lavoratori di trasformarlo in welfare risulta infatti un processo in progressiva diffusione.

Attraverso l’analisi degli accordi reperiti, è stato possibile individuare diversi approcci all’utilizzo del welfare aziendale. Diversi impianti contrattuali analizzati prevedono, nell’ambito dei meccanismi del PdR, eventualmente anche la convertibilità parziale o totale del Premio, insieme a una quota di risorse o a specifici servizi e interventi di welfare non legati alla determinazione del PdR. Al di là dei dati aggregati sul numero di imprese che, attraverso la contrattazione, hanno definito la convertibilità Premio di risultato in welfare aziendale, può risultare utile approfondire la funzione che svolge il welfare aziendale stesso all’interno del dispositivo del PdR.

Sotto l’aspetto qualitativo, infatti, sono diverse le opzioni perseguite dalle aziende e dai sindacati, almeno da quanto appare dai testi di accordo; molti di questi presentano la possibilità di convertire il Premio in welfare senza ulteriori dettagli, o rimandi a confronti bilaterali successivi, limitandosi a indicarne la possibilità anche attraverso l’uso di provider esterni che ne facilitino l’accesso ai lavoratori interessati. Si tratta di una modalità che non considera – almeno esplicitamente – il welfare aziendale come uno strumento in sé utile all’innovazione e al benessere organizzativo, ma ne consente la fruizione in quanto opzione equivalente al Premio in salario. Ciò può legarsi al mantenimento di “tradizioni aziendali” (es. prestazioni sanitarie integrative, premi di anzianità aziendale, benefit sia contrattati sia erogati unilateralmente dalle aziende), ma anche alla necessità di mantenere una quota di salario aggiuntivo non variabile – nella forma di beni e servizi di welfare – non legato alla contingenza dei risultati aziendali che determinano il PdR. Per un altro verso, la natura intrinseca dei servizi di welfare dal profilo maggiormente sociale (cura della persona, infanzia, salute e previdenza) richiede strategie di consolidamento e di continuità, che possono legarsi ma non contare esclusivamente sulla contingenza dell’erogazione del PdR. Inoltre, il welfare aziendale si lega di frequente – quantomeno negli obiettivi espliciti degli accordi – a più ampie iniziative di conciliazione vita-lavoro, quindi a un coerente quadro della contrattazione che comprende interventi migliorativi dei Ccnl in materie di flessibilità orarie e della prestazione lavorativa, permessi e congedi per situazioni familiari e soggettive particolari.

In relazione alle motivazioni che spingono l’azienda a erogare ai propri lavoratori servizi di welfare, ricorrono il miglioramento del clima aziendale e/o della produttività, l’innovazione organizzativa contemperata con i bisogni dei lavoratori e lavoratrici. Nei preamboli degli articoli degli accordi che trattano di welfare aziendale si sottolinea spesso la funzione di bilanciamento vita-lavoro del welfare aziendale; ciò implica che nell’impianto contrattuale debba risultare coerenza tra i servizi di welfare erogati e l’organizzazione del lavoro, con particolare riferimento agli strumenti di flessibilità, fra i quali il contratto di lavoro part-time, la banca ore, i permessi e congedi, il lavoro agile, la flessibilità dell’orario giornaliero e settimanale, etc.. Nel caso di mansioni o produzioni caratterizzate da maggiore rigidità, per esempio, un sistema di welfare aziendale può intervenire a compensare indirettamente il lavoratore, alleviando i carichi di cura familiari ovvero offrendo servizi timesaving. Tuttavia, va rilevato come tra i richiamati interventi a favore di una migliore conciliazione vita-lavoro non ci sia sistematicità (come approfondito di seguito, sotto la rubrica La conciliazione vita-lavoro e il sostegno alla genitorialità).

 

Effetti della normativa sulla scelta degli indicatori funzionali al raggiungimento degli obiettivi ai quali è collegato il Premio di risultato

In linea generale, si riscontra l’adozione di indicatori  principalmente legati agli obiettivi di redditività e produttività, senza un esplicito collegamento tra interventi migliorativi di varia natura, anche organizzativi, e il raggiungimento degli obiettivi. In altri termini, si riscontrano raramente meccanismi capaci di intervenire sul processo di conseguimento degli obiettivi, in base ai quali si determina l’erogazione e la misura del Premio, se non in casi limitati in cui gli indicatori presentano anche elementi processuali e di intervento sui fattori organizzativi dell’impresa e sull’organizzazione del lavoro. In alcuni casi è previsto un collegamento tra gli obiettivi del PdR e miglioramenti di qualità, efficienza e anche di salute e sicurezza (con la previsione di premialità aggiuntive).

 

I canali di finanziamento del welfare aziendale

Sempre più di frequente si prefigura un conto welfare collegato a diversi canali di alimentazione, simultanei: risorse proprie dell’azienda, Premio di risultato, altre premialità aziendali, utilizzo risorse non impegnate.
Come detto in precedenza, sotto l’impulso della normativa introdotta a partire dalla Legge di stabilità 2016, in molti accordi è prevista la costituzione di un sistema di welfare legato alla maturazione del Premio. Al lavoratore è infatti riconosciuta la facoltà di destinare il Premio, integralmente o parzialmente, a servizi di welfare.
In alcuni casi il Premio di risultato rappresenta l’unica fonte di finanziamento del welfare aziendale, ma molto più numerose si rintracciano forme di integrazione con altri canali; in prima istanza, gli investimenti diretti dell’azienda, che, a fronte della scelta del lavoratore di convertire in welfare il premio maturato, mette a disposizione a proprio carico un ulteriore contributo.
Rispetto alla quota del PdR convertibile, alcuni contratti stabiliscono un tetto massimo, ovvero prevedono più opzioni con fasce prestabilite, espresse in percentuale o in valore assoluto. In uno specifico caso, all’opposto, è stata fissata una quota minima del PdR, pari a 250 euro, per poter accedere ai servizi di welfare. Ancora, fra le varie soluzioni adottate, si annovera la previsione dell’integrale convertibilità del premio alla condizione esclusiva che sia destinato ai fondi integrativi negoziali di settore di previdenza complementare e assistenza sanitaria integrativa.
Un caso particolare è rappresentato dal settore bancario, nell’ambito del quale numerosi contratti hanno previsto che il premio maturato sia erogato, come opzione primaria, in servizi di welfare, lasciando al lavoratore la facoltà di scegliere per la monetizzazione del premio.
La maggior parte dei contratti prevedono un meccanismo di accreditamento su un conto welfare, consentendo al lavoratore di scegliere i servizi di cui fruire nell’ambito di un paniere predeterminato. Per tale operazione, sempre più di frequente, le aziende si affidano a provider specializzati. In presenza di conto welfare, il lavoratore dovrà utilizzare il proprio credito entro un termine stabilito dal contratto o dal regolamento sul welfare. Le soluzioni adottate dai contratti in caso di residuo sono molteplici: l’importo è mantenuto nel conto welfare dell’anno successivo; è versato nel Fondo di previdenza complementare al quale è iscritto il lavoratore, oppure, quando deriva da conversione del Premio di Risultato, è liquidato con l’applicazione delle relative aliquote fiscali e contributive. Alcuni contratti ne prevedono l’azzeramento.

 

L’erogazione dei servizi di welfare

Come detto in precedenza, i recenti mutamenti del mercato del welfare aziendale, con l’affermazione di società private attive come provider per l’offerta di servizi di welfare, hanno consentito una maggiore diffusione di tali interventi presso una platea più ampia di aziende, anche di piccole e medie dimensioni.

Il riferimento a provider esterni – sia per la definizione dei beni e servizi di welfare, sia per la predisposizione del dispositivo informatico di accesso e gestione dei servizi stessi – emerge in diversi accordi, sebbene non appaia esplicitamente come oggetto negoziale. Ciò può aver avuto anche un riflesso sul paniere di beni e servizi offerti, dal momento che l’offerta dei provider è naturalmente orientata a un’ampia diversificazione.
Questo – insieme alle novità normative – ha comportato a livello di contrattazione aziendale diversi effetti: l’inserimento nelle agende negoziali di possibilità più articolate per la composizione dei pacchetti di welfare, insieme alla necessità di integrare i servizi, i benefit e i beni già messi a disposizione dei dipendenti, compresi quelli erogati tramite il welfare contrattuale (5).

L’estensione del paniere welfare in coincidenza del ricorso a provider esterni può presentare, oltre che dei vantaggi, anche ipotetici punti critici: se infatti viene allargata l’offerta dei servizi welfare, dall’altro lato si allunga la catena di fornitura di tali servizi, anche per non chiari meccanismi di verifica e controllo di qualità dei beni e servizi erogati, dei soggetti convenzionati, etc.
In linea generale, emerge una più precisa offerta dei beni, servizi e prestazioni del paniere di welfare nel caso di welfare aziendale già consolidato (nato cioè al di fuori dei meccanismi del PdR); mentre nel caso di nuova introduzione del welfare, viene demandata la definizione dei contenuti del paniere/conto welfare (raramente) a successivi confronti, o direttamente all’Azienda nel caso del riferimento a provider esterni.

[………….] Continua a leggere l’intero estratto su “Welfare aziendale, organizzazione del lavoro, flessibilità degli orari, maternità e paternità: un’analisi qualitativa dei contratti”

(1) Il progetto EQuIPE 2020 – Efficienza e Qualità del sistema,Innovazione Produttività ed Equilibrio vita lavoro, fra gli obiettivi specifici assunti, intendeva dare centralità alle relazioni industriali aziendali e territoriali come luoghi di promozione delle politiche di innovazione e di valorizzazione del capitale umano, superando i tradizionali schemi negoziali concentrati in prevalenza sugli aspetti retributivi del rapporto di lavoro. A tal fine, si è svolta un’attività di analisi quali-quantitativa di contratti integrativi di secondo livello, volta all’individuazione delle buone pratiche e delle soluzioni più innovative rispetto alle tematiche del miglioramento dell’organizzazione del lavoro, della flessibilità degli orari, del welfare aziendale e del coinvolgimento dei lavoratori. L’attività in oggetto ha previsto la definizione di una classificazione per tematiche, in base a principi di selezione e corrispondenza con i nuclei dell’intervento progettuale di EQuIPE, e la compilazione, per ciascun contratto integrativo analizzato, della relativa scheda di descrizione dei contenuti rilevanti per il progetto e di valutazione degli elementi innovativi e dell’impianto generale del contratto. I contratti collettivi analizzati sono sia pluri-tematici, sia centrati su materie specifiche. I più complessi mostrano la trattazione di diverse materie che rispecchiano per macro-aree tematiche la
struttura dello schema di classificazione utilizzato (relazioni sindacali, retribuzione variabile, svolgimento del rapporto di lavoro, diritti e prestazioni sociali / welfare integrativo). La classificazione costruita nell’ambito di tale attività è piuttosto analitica e consente di condurre approfondite analisi qualitative e quantitative; è inoltre collegata a un sistema informatico, per la diffusione on line delle informazioni in maniera strutturata. Per maggiori informazioni e approfondimenti, si veda il sito www.equipeonline.it.

(2) Per un’analisi della normativa in materia di welfare integrativo, si rinvia alle seguenti pubblicazioni: Franca Maino, Maurizio
Ferrera (a cura di), Terzo Rapporto sul Secondo Welfare in Italia, 2017, Torino, 2017; Marco Leonardi, Le nuove norme sui premi di produttività e il welfare aziendale, in Carlo Dell’Aringa, Claudio Lucifora, Tiziano Treu (a cura di), Salari, produttività, disuguaglianze. Verso un nuovo modello contrattuale?, Il Mulino, Roma, 2017; Tiziano Treu (a cura di), Welfare aziendale 2.0. Nuovo welfare, vantaggi contributi e fiscali, Wolters, Kluwer,Milano, 2016.

(3) Elaborazione della Direzione generale dei sistemi informativi, dell’innovazione tecnologica, del monitoraggio dati e della comunicazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Vedi Claudio Tucci, Welfare aziendale in un contratto su tre, in Il
Sole 24 ore, 3 dicembre 2017.

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