16. Previdenza complementare
Dizionario breve sul welfare aziendale a cura di ADAPT e AIWA
di Adua Maria Sabato*
Definizione
La previdenza complementare è un sistema di forme pensionistiche collettive e individuali istituite con lo scopo di introdurre, al termine della vita lavorativa, alcune disponibilità da integrare alle prestazioni pubbliche.
L’adesione alle forme pensionistiche complementari è libera e volontaria.
Il D.lgs. 252/2005 disciplina le forme di previdenza per l’erogazione di trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio, ivi compresi quelli gestiti dagli enti di diritto privato di cui ai decreti legislativi 30 giugno 1994, n. 509, e 10 febbraio 1996, n. 103, al fine di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale (art. 1 del D.lgs. 252/2005).
Secondo quanto previsto dall’art. 1 comma 3 lettera a) e b) del D.lgs. 252/2005 si intendono per:
a) «forme pensionistiche complementari collettive”: le forme di cui agli articoli 3, comma 1, lettere da a) e h) [forme pensionistiche complementari istituite da contratti e accordi collettivi anche aziendali e da soggetti quali banche, imprese di assicurazioni, società di gestione del risparmio e società di intermediazione mobiliare] e 12 [c.d. Fondi pensione aperti], che hanno ottenuto l’autorizzazione all’esercizio dell’attività da parte della COVIP, e di cui all’articolo 20, iscritte all’apposito albo, alle quali è possibile aderire collettivamente o individualmente e con l’apporto di quote del trattamento di fine rapporto;
b) «forme pensionistiche complementari individuali»: le forme di cui all’articolo 13, che hanno ottenuto l’approvazione del regolamento da parte della COVIP alle quali è possibile destinare quote del trattamento di fine rapporto.
Di cosa parliamo
La previdenza complementare, ai sensi del D.lgs. 252/2005, rappresenta una forma di previdenza di c.d. Secondo Pilastro che completa le prestazioni del Primo Pilastro, il sistema pensionistico obbligatorio di natura pubblica.
Al fine di comprendere la portata della funzione affidata alla previdenza complementare appare opportuno scandirne l’evoluzione normativa.
Un primo intervento si ebbe con la Legge delega 421 dell’ottobre del 1992 che indicò le linee di fondo che il governo doveva seguire per la riforma del sistema previdenziale.
Successivamente fu emanato con il Decreto legislativo n.124 del 28 aprile 1993 il primo testo organico della previdenza complementare che ha dettato le regole per il funzionamento dei fondi pensione, delineandone la costituzione, la gestione, la contribuzione e le prestazioni da erogare.
La normativa sulla previdenza complementare venne ulteriormente modificata dal Decreto legislativo n. 47 del 18 febbraio 2000 e con il successivo Decreto legislativo correttivo n. 168 del 2001, che realizzarono una riforma di carattere fiscale ed introdussero le forme pensionistiche individuali.
Il vero cambiamento si ebbe con un progetto di legge delega per riformare il sistema pensionistico: la Legge n. 243 che è stata varata il 23 agosto 2004 e immediatamente un anno dopo con il Decreto legislativo n.252 del 5 dicembre 2005. Tra i principi di questa legge sono presenti: lo sviluppo delle forme pensionistiche complementari, l’ampliamento delle fonti istitutive delle forme pensionistiche complementari alle Regioni e agli enti privatizzati e la previsione di maggiori tutele e benefici fiscali per gli iscritti.
Il Decreto legislativo n. 252 del 5 dicembre 2005 si connota per essere un Testo unico che ha corretto le diverse anomalie che erano presenti nel sistema di Previdenza complementare consentendo, ancora oggi, il buon funzionamento del sistema.
In Italia, il sistema pensionistico complementare presenta diverse forme. Sono forme pensionistiche complementari: i Fondi pensione chiusi o negoziali, i Fondi pensione aperti, i Piani individuali pensionistici e i Fondi pensione “preesistenti”.
I Fondi pensione chiusi (art. 3 D.lgs. 252/2005) o Fondi pensione negoziali (Fonte COVIP) di origine “negoziale”, sono forme pensionistiche complementari istituite dai rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro nell’ambito della contrattazione nazionale, di settore o aziendale.
I Fondi aperti (art. 12 D.lgs. 252/2005) sono forme pensionistiche complementari istituite da banche, imprese di assicurazioni, società di gestione del risparmio (“SGR”) e società di intermediazione mobiliare (“SIM”). Detti Fondi sono aperti alle adesioni dei destinatari del D.lgs. 252/2005, i quali vi possono destinare anche la contribuzione a carico del datore di lavoro a cui abbiano diritto, nonché le quote del TFR.
I Piani pensionistici individuali (“Pip”) (art. 13 D.lgs. 252/2005), rappresentano i contratti di assicurazione sulla vita con finalità previdenziale, stipulati con imprese di assicurazioni autorizzate dall’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private (“IVASS”). Le regole che li disciplinano non dipendono solo dalla polizza assicurativa ma anche da un regolamento basato sulle direttive della COVIP. Lo scopo è garantire all’utente gli stessi diritti e prerogative analoghi alle forme pensionistiche complementari.
I Fondi “preesistenti” sono forme pensionistiche complementari che operavano antecedentemente all’emanazione del Decreto legislativo n. 124 del ’93. Oggi questa tipologia di Fondi si sono dovuti adeguare alla disciplina di cui all’art. 20 del D.lgs. 252/2005 e sulla base del Decreto ministeriale n. 62/2007 (Fonte COVIP).
I soggetti destinatari delle forme pensionistiche complementari sono, a norma dell’art. 2 del D.lgs. 252/2005 i lavoratori dipendenti sia pubblici, sia privati, i lavoratori autonomi e i liberi professionisti, i soci lavoratori di cooperative, i soggetti destinatari del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 565, anche se non iscritti al fondo ivi previsto (persone che svolgono lavori di cura non retribuiti derivanti da responsabilità familiari, soggetti che svolgono, senza vincolo di subordinazione, lavori non retribuiti in relazione a responsabilità familiari e che non prestano attività lavorativa autonoma o alle dipendenze di terzi e non sono titolari di pensione diretta).
Per quel che concerne la natura giuridica i fondi pensione sono costituiti come soggetti giuridici di natura associativa, ai sensi dell’art. 36 del codice civile o come soggetti dotati di personalità giuridica ex art. 4 comma 1 del D.lgs. 252/2005.
Sul piano fiscale i contributi previdenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in ottemperanza a disposizioni di legge non costituiscono reddito da lavoro dipendente a norma dell’art. 51 comma 2 lettera a) del TUIR.
I contributi versati alle forme di previdenza complementare di cui al D.lgs. 252/2005, sono deducibili, ai sensi dell’art. 10 lettera e-bis) del TUIR, dal reddito complessivo per un importo non superiore ad euro 5.164,57.
La previdenza complementare nella contrattazione collettiva
Il D.lgs.252/2005 costituisce un testo determinante nell’evoluzione della previdenza complementare poiché prevede una disciplina organica della previdenza complementare.
Questo ha suscitato l’attenzione da parte di molti operatori che si sono mobilitati per la costituzione di forme pensionistiche a sostegno dei lavoratori al fine di permettergli un miglior rendimento alla fine della vita lavorativa.
L’art.3 del D.lgs. 252/2005, come citato precedentemente, permette l’istituzione di forme pensionistiche complementari da contratti e accordi collettivi, anche aziendali, limitatamente per questi ultimi, anche ai soli soggetti o lavoratori firmatari degli stessi, ovvero, in mancanza, accordi fra lavoratori, promossi da sindacati firmatari di contratti collettivi nazionali di lavoro; accordi, anche interaziendali per gli appartenenti alla categoria dei quadri, promossi dalle organizzazioni nazionali rappresentative della categoria, membri del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro.
Da questo momento in poi si assiste ad un aumento di Fondi pensione previsti all’interno della contrattazione collettiva.
Ad oggi, da una mappatura degli ultimi rinnovi dei CCNL e della contrattazione aziendale, si rileva una tendenza ad affidare la materia della previdenza complementare ai fondi bilaterali istituiti dai contratti di categoria.
Gli interventi della contrattazione integrativa in materia, prevedono un incremento della quota contributiva prevista per i fondi, nel deflusso del TFR o di quote di esso alla bilateralità previdenziale.
Riferimenti normativi
– Legge delega 421 dell’ottobre del 1992
– Decreto legislativo n.124 del 28 aprile 1993
– Decreto legislativo n. 47 del 18 febbraio 2000
– Decreto legislativo correttivo n. 168 del 2001
– Legge n. 243 del 23 agosto 2004
– Decreto legislativo n. 252 del 5 dicembre 2005
L’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate
– Circolare 29/E del 20 marzo 2001
– Circolare 70/E del 18 dicembre 2007
Riferimenti bibliografici
– M. Bessone, Previdenza complementare, Torino, 2000
– M. Cinelli, La Previdenza complementare, Milano,2009
– M. Persiani, La Previdenza complementare, Padova, 2008
– M. Squeglia, la ˂˂previdenza contrattuale˃˃, Un modello di nuova generazione per la tutela dei bisogni previdenziali socialmente rilevanti, Torino, 2014
– T. Treu, La previdenza complementare nel sistema previdenziale, in Studi in onore di Mario Grandi, Padova, 2005
– La previdenza complementare in Europa, A. Tursi (a cura di), in Le fonti normative e negoziali della previdenza complementare in Europa, Torino, 2013
– A. Tursi, Note introduttive, in Tursi a. (a cura di), La nuova disciplina della previdenza complementare, (decreto legislativo n. 252/2005), in Nuove Leggi Civili Commentate, 2007
Adua Maria Sabato, Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo – ADAPT
*Il seguente articolo è stato pubblicato anche su Bollettinoadapt.it, il 30 ottobre 2017
Il Dizionario breve sul welfare aziendale è la nuova rubrica realizzata con ADAPT, la scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro. Un appuntamento settimanale nato non con l’ambizione di fornire le definizioni giuste per ogni ambito disciplinare, bensì con l’intento di condividere un glossario essenziale, scientificamente solido, ma anche comprensibile a tutti, per inquadrare quello che è già oggi uno dei più importanti contenuti del cambiamento del lavoro in atto nell’epoca della c.d. quarta rivoluzione industriale.