Legge di Bilancio, nuove possibilità per il welfare aziendale: il trasporto pubblico
Nuovi passi avanti in materia di welfare aziendale nell’ultima Legge di Bilancio: il commento del Prof. Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, sulle novità riguardanti il trasporto pubblico locale e il tragitto casa-lavoro
di Alberto Brambilla*
Nell’ottobre del 2011, nel pieno della crisi che da lì a poco avrebbe travolto il Governo Berlusconi il tema della riduzione del carico fiscale sui redditi, soprattutto su quello dei lavoratori dipendenti, era all’ordine del giorno; ma la politica, esattamente come sta avvenendo oggi a distanza di 6 anni, anziché riformare il sistema fiscale premiando merito e lavoro, prometteva redditi da 1.000 euro per tutti, reddito di cittadinanza e cose simili.
Sulle pagine del Corriere suggerivamo, inascoltati fino alla Legge di Bilancio Gentiloni, di innovare con nuovi e più efficaci strumenti di welfare aziendale: “Aumentare il reddito dei lavoratori diminuendo le tasse è difficile tanto più che su 41 milioni di contribuenti meno di 27 milioni riescono con le loro tasse a pagare i 1.870 euro pro capite di spesa sanitaria; però può intervenire il welfare integrativo o aziendale. Per esempio si può aumentare la defiscalizzazione del “buono pasto” da 5,29 euro di oggi (fermi a 12 anni fa), a 10 euro; i lavoratori mangerebbero più decentemente e diminuirebbe certamente il sommerso sui pasti. Si potrebbe poi sì consentire alle imprese, come accade nella vicina Svizzera, di dare un “buono transfer” defiscalizzato da tasse e contributi” perché “se il datore di lavoro volesse dare un aumento in busta paga di 50 euro gli costerebbe al lordo degli oneri fiscali, sociali, oltre 110 euro, ma se questi 50 euro fossero un rimborso per i costi di trasporto, sarebbe un vantaggio per imprese e lavoratori”.
Con grande soddisfazione rileviamo i grandi passi realizzati dal Governo in materia di welfare aziendale, unico modo serio, accanto al contrasto di interessi, per aumentare i redditi dei lavoratori senza fare assistenze tipo gli 80 euro o misure peggiori (i mille euro o il reddito di cittadinanza). Ma vediamo cosa prevede la legge.
Come riesce il lavoratore a recuperare le spese di trasporto per recarsi quotidianamente al lavoro? La Legge di Bilancio al comma 28 prevede 2 modalità:
a) la prima che, attraverso la modifica dell’articolo 15 del TUIR (testo unico delle imposte sui redditi) consente al lavoratore dipendente privato e pubblico, a partire dal gennaio 2018, di detrarre dalla propria imposta lorda un importo pari al 19% delle spese sostenute per l’acquisto degli abbonamenti ai servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale (quindi treni tra cui l’alta velocità, metropolitane, tram, autobus e trasporti autostradali) per un importo non superiore a 250 euro annui; il risparmio massimo per ogni anno sarà quindi pari a 47,50 euro attraverso la detrazione sul 730 o unico. La detrazione, in base al comma 2 dell’art. 15 del TUIR, spetta anche al coniuge e ai figli (naturali riconosciuti, adottivi e affidati) a carico del lavoratore sempre però nel limite complessivo di 250 euro e con un risparmio di 47,50 euro annui.
b) l’altra possibilità riguarda i cosiddetti buoni TPL (Trasporto Pubblico Locale) che avevamo definito “buoni transfer”; la modifica dell’articolo 51, comma 2, del TUIR con l’inserimento della lettera d-bis, precisa che non concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente: “Le somme erogate o rimborsate alla generalità o a categorie di dipendenti dal datore di lavoro o le spese da quest’ultimo direttamente sostenute, volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto, di accordo o di regolamento aziendale, per l’acquisto degli abbonamenti per il trasporto pubblico locale, regionale e interregionale del dipendente e dei familiari indicati nell’articolo 12 che si trovano nelle condizioni previste nel comma 2 del medesimo articolo 12 (cioè con redditi non superiore a 2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili)”. E’ questa la vera misura di welfare aziendale che si affianca a quelle previste nella scorsa Legge di Bilancio (fino a 4 mila euro di benefit che non costituiscono reddito); infatti tramite disposizioni contrattuali o anche semplici accordi o regolamenti aziendali (uguali a quelli che chi scrive ha introdotto per la previdenza complementare cioè gli accordi plurisoggettivi), il rimborso o il pagamento delle spese di abbonamento ai trasporti dei dipendenti può essere fatto direttamente dal datore di lavoro; il rimborso vale, come per le detrazioni, anche per i famigliari a carico. Il risparmio per il lavoratore in questo secondo caso è molto rilevante perché non sono previsti limiti e tetti di spesa; ad esempio se il lavoratore ha un abbonamento “treni regionali e mezzi urbani” oppure due abbonamenti separati (uno per il Frecciarossa e l’altro per i trasporti urbani), per un importo di 100 euro mensili, potrà risparmiare, se rimborsato dal datore, 1.200 euro l’anno, quasi una 15° mensilità che si va a sommare ai buoni pasto. Fino al 2017 il datore di lavoro, in base alla lettera d) del comma 2 dell’art. 51 del TUIR poteva offrire ai propri dipendenti solo “prestazioni di servizi di trasporto collettivo” esentasse anche se “affidate a terzi”. Per il datore di lavoro queste somme sono totalmente deducibili dal reddito d’impresa nell’anno fiscale di riferimento.
In conclusione, per l’azienda un rimborso di 1.200 euro costa esattamente questa somma ed è deducibile, mentre il dipendente per disporre di questa cifra – che per lui non costituisce reddito imponibile ai fini fiscali e contributivi – avrebbe dovuto ottenere un aumento di stipendio che all’azienda sarebbe costato più del doppio e che, quindi, difficilmente avrebbe potuto ottenere. Migliora il benessere del lavoratore, si riduce l’incidenza del cuneo fiscale e contributivo, aumenta il reddito spendibile e quindi anche i consumi (che, peraltro, consentiranno allo Stato un recupero tramite imposte indirette e accise) e si equipara il dipendente al lavoratore autonomo e professionale che già può dedurre le spese di viaggio e vitto e alloggio.
Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali
*Il seguente articolo è stato pubblicato su Ilpuntopensionielavoro.it, l’8 gennaio 2018