Welfare aziendale: tutto quello che c’è da sapere (soprattutto per le donne)

da Feb 8, 2018Rassegna Stampa

Aumentano, anche grazie alle nuove normative, i premi che le aziende possono erogare ai lavoratori sotto forma di servizi (dalla tata on demand alle polizze sanitarie ai viaggi). Peccato che, ancora una volta, le donne ne beneficino solo in minima parte. La ricerca Censis-Eudaimon sulla situazione del nostro Paese

di Francesca Amé*

Se dovessimo fotografare la situazione del welfare aziendale nel nostro Paese, vedremmo un bel panorama, ma messo a fuoco non a dovere. È questa la sensazione che si ha scorrendo i dati del Primo Rapporto Censis- Eudaimon sul welfare aziendale in Italia .

Il tema è importante, se consideriamo che la legge di stabilità, dal 2016 a oggi, permette all’azienda di erogare premi di produzione ai dipendenti, con tassazione a lei vantaggiosa, sotto forma di servizi, anziché denaro in busta paga. Si va dall’asilo nido convenzionato, alla tata on demand, a polizze sanitarie o assicurative, persino a viaggi-premio: è ampio il bouquet dell’offerta per offrire ai dipendenti un “benessere” maggiore.

Eduaimon, provider specializzato nei servizi di welfare aziendale dal 2002, quando da noi era ancora fantascienza fare questi discorsi, ha commissionato a Censis un’indagine sul campo per capire come davvero stanno le cose. Le aziende che si dichiarano pronte e favorevoli a “coccolare” i dipendenti sono tante (sulla carta), ma ancora una volta «i numeri sono ridotti», dice Francesco Maietta del Censis. In particolare, su un campione di mille dipendenti intervistati dall’istituto, un terzo ignora del tutto che cosa il welfare aziendale e il 18% conosce a malapena l’argomento. Un dato su tutti ci colpisce: il 30% delle donne intervistate non ha mai sentito parlare di questo genere di servizi né della possibilità, prevista dalla legge, di trasformare quote premiali della retribuzione in prestazioni legate al welfare.

Gettyimages

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«È un tema che dovrebbe far riflettere perché è proprio sulle spalle delle lavoratrici che si gioca il welfare italiano: sappiamo bene che tutta la gestione di cura, sia dei figli che dei genitori anziani, è a carico delle donne. Un welfare aziendale efficace dovrebbe intercettare i bisogni reali della donne e offrire servizi adeguati», commenta Alberto Perfumo, amministratore delegato di Eudaimon.

Esempi? Servizi salva-tempo come “il maggiordomo in ufficio” che permette di pagare bollette o ritirare gli abiti in tintoria, servizi per la famiglia, dalle convenzioni con nidi o asili in zona a quella con associazioni di badanti fidate, passando per la convenzione con specialisti nel settore educativo (logopedista, psicologo, sportelli di aiuto per i genitori).

«Alle lavoratrici servono servizi pratici e utili: solo così il welfare aziendale può diventare un traino per incrementare l’occupazione femminile e arginare l’emorragia di madri di famiglia che, non riuscendo a conciliare vita lavorativa e privata, sono costrette alle dimissioni», conclude Perfumo.

Secondo i dati del Censis, a oggi i servizi più apprezzati dai dipendenti riguardano l’assicurazione per le malattie (nel 49.5% dei casi) ma se si chiede il parere degli under 35 un terzo del campione mette ai primi posti dei suoi desideri la possibilità di avere un nido convenzionato con la società per cui lavora o servizi quali i campus estivi per i figli o i rimborsi per le spese scolastiche.

«Appare diretta la connessione tra la carenza di servizi del welfare pubblico rivolti alle famiglie e il desiderio, da parte di chi lavora, che l’azienda possa supplire a tali lacune», spiega Maietta.

Crescono però anche le aspettative: i giovani lavoratori apprezzano anche servizi più legati al tempo libero (la convezione con palestre o spa, ad esempio, attrae il 23.8% degli under 35) e molte società, specie le multinazionali del comparto tecnologico, fanno a gara per attrarre nuovi assunti con benefits che spaziano dal car-sharing alla palestra in ufficio.

La rincorsa al welfare aziendale, dicono però gli esperti, serve a poco, anzi: la moltiplicazione di benefit utili alla reputazione sociale dell’aziendae magari attrattivi per il dipendente nell’immediato non è utile in prospettiva più ampia. E se è vero che il welfare aziendale non può restare “territorio di nicchia” di alcuni privilegiati (soprattutto quadri e dirigenti, o lavoratori di grandi società), va detto che senza la flessibilità oraria (o lo smartworking) nessuna conciliazione sarà mai possibile. Specie per le donne.

 

*Il seguente articolo è stato pubblicato su Iodonna.it il 6 febbraio 2018
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