Ampliamento, evoluzione (e mutazione) del welfare aziendale nella Legge di Stabilità 2017
di Emmanuele Massagli *
Un intero articolo della prossima Legge di Stabilità sarà dedicato a “Premio di produttività e welfare aziendale”.
Per quanto concerne il primo argomento, è da tempo conosciuto il piano del Ministro Calenda, al quale è da ascriversi la paternità dell’innalzamento del premio detassato a 3.000 euro (4.000 nelle imprese ove è attiva una qualche forma di partecipazione) per redditi fino a 80.000 euro (era 50.000 la soglia dello scorso anno). Se da una parte è evidente l’ampliamento della norma rispetto ai limiti attuali, dall’altra non è esente da critiche una misura costosa che viene incontro alle esigenze delle sole grandi imprese, le uniche che erogano premi collettivi di questa entità, e che carica sulla collettività (bilancio pubblico) la detassazione dei premi rivolti a fasce di popolazioni piuttosto ricche nel mercato del lavoro italiano, in buona parte quadri e dirigenti.
Più interessante è la seconda metà della rubrica del titolo, che sancisce l’ingresso nella normativa italiana della espressione “welfare aziendale”. Terminologia sempre più utilizzata, non solo tra gli addetti ai lavori, sebbene legislativamente non identificata. In questa categoria si può ricomprendere un più o meno ordinato miscuglio di disposizioni fiscali (articolo 51 commi 2 e 3 del TUIR innanzitutto), lavoristiche (regolazione dei premi di risultato) e prassi contrattuali (capitoli dedicati al welfare dei contratti collettivi, accordi di secondo livello). Il Legislatore non pare comunque interessarsi alla definizione, bensì, entrando in medias res, tratta sotto questo cappello terminologico la possibilità di superare i limiti di contribuzione alle forme pensionistiche complementari e di assistenza sanitaria, nonché il valore delle azioni distribuite ai dipendenti, quando lo sforamento derivi dalla destinazione a questi istituti del premio di produttività decisa dal lavoratore.
Sempre nell’ambito del welfare aziendale rientra l’ulteriore modifica dell’articolo 51, comma 2 del TUIR operata mediante l’inserimento nell’elenco di prestazioni detassabili dei premi per assicurazioni aventi per oggetto il rischio di non autosufficienza o il rischio di malattie gravi, erogate dalle imprese ai propri dipendenti. Sarebbero infine ricompresi nell’esclusione dal reddito di lavoro anche i sussidi occasionali concessi dal datore di lavoro in ragione di rilevanti esigenze personali e familiari del singolo lavoratore.
Le novità presentate, se confermate, segneranno un ulteriore passo del nostro ordinamento verso l’affermazione del welfare come materia centrale della contrattazione nazionale (in questo senso è da leggersi anche la proposta di rinnovo presentata da Federmeccanica a fine settembre) e decentrata, territoriale e aziendale. Lo stesso welfare si afferma, inoltre, come leva da azionare per incentivare la produttività ed incrementare, quindi, la competitività delle imprese.
Il “welfare aziendale” non è più, quindi, l’insieme dei “benefici di utilità sociale” gratuitamente concessi dall’imprenditore illuminato ai propri dipendenti, ma un fattore economico, l’oggetto di uno scambio che può portare vantaggio tanto all’impresa quanto ai lavoratori. Questo processo di “economicizzazione” del welfare, che procede disordinatamente, ma ad alta velocità, apre un nuovo filone di ricerca degli studi sul rapporto di lavoro, che necessità di aggiornate (e nuove) categorie scientifiche e disciplinari perché il fenomeno sia compreso, senza banalizzazioni, dogmatismi o demonizzazioni.
Emmanuele Massagli
Presidente Adapt
@EMassagli
Pubblicato anche su ilsussidiario.net, il 31 ottobre 2016