Il ruolo del welfare aziendale nell’emergenza Coronavirus. Parliamone.
di Emmanuele Massagli*
Le nostre giornate sono contraddistinte dalla particolarissima situazione di isolamento sociale connessa all’emergenza Coronavirus. Con il passare delle settimane e la stratificazione dei decreti, sempre più attività produttive hanno dovuto fermarsi. Oramai da oltre un mese sono chiuse le scuole e le università e da diverse settimane tutte le attività turistico-ricettive. Diverso è lo scenario nel mondo dei servizi alle imprese, quello a cui appartengono anche i provider di welfare aziendale. È, questo, un settore che maggiormente si presta al lavoro a distanza (non regolato, spontaneo) e al lavoro agile (regolato). L’Italia è oggi il territorio della più rilevante (ma non programmata) sperimentazione di soluzioni tecnologiche per la formazione e l’esecuzione della prestazione lavorativa da remoto.
Lavorare da casa in una situazione come questa non è tuttavia una condizione semplice; non è tutto rosa come spesso viene grossolanamente dipinto. Certo i bisogni dei lavoratori sono diversi da quelli che conoscevamo anche solo il mese scorso; ma ve ne sono eccome, non meno rilevanti. Per questo il welfare aziendale, che è per definizione un tentativo di risposta a questi bisogni, può e deve avere un ruolo anche in questo difficile periodo. Non si tratta soltanto di continuare ad erogare beni e servizi ai lavoratori che ancora, tutti i giorni, per garantire i servizi essenziali alla comunità, si recano sul posto di lavoro. Ancor più sfidante, se possibile, è la condizione dei tanti smartworker forzati che da un giorno con l’altro, senza che l’organizzazione aziendale fosse pronta e sovente senza una strumentazione adeguata, si sono ritrovati a dover garantire il proprio servizio in una condizione tutt’altro che ovvia in termini di stress e di conciliazione (a riprova che la conciliazione vita professionale-vita privata è molto di più che “stare a casa”).
Per queste persone il welfare aziendale può diventare un aiuto inaspettato, talvolta neanche dovuto, riconosciuto dal proprio datore di lavoro. Non lo stesso welfare aziendale della situazione ordinaria, magari un welfare “di crisi”. Maggiore spazio è possibile che venga guadagnato dalle soluzioni di assistenza sanitaria (quante imprese, come documentiamo sul sito www.aiwa.it, stanno prevedendo assicurazioni specifiche per l’eventualità di contagio), dalle misure per la cura dei figli (oltre al pagamento dei servizi di babysitting perché non comprendere nella integrazione alle misure educative soluzioni culturali e ricreative a distanza?), dalle somme per il rimborso delle spese sostenute per la cura degli anziani e delle persone non autosufficienti, dalle polizze LTC e dai buoni multiservizi utili all’acquisto dei beni di prima necessità nelle attività distributive rimaste aperte.
Come AIWA stiamo lavorando in questa direzione, interloquendo con la politica perché si inseriscano senza equivoci nei beni e servizi che godono della non ricomprensione nel reddito da lavoro le misure precauzionali per contrastare il contagio, sia ampliata (anche temporaneamente) la soglia dell’articolo 51, comma 3, siano definitivamente ricomprese le donazioni a realtà del terzo settore e agli ospedali del Servizio Sanitario Nazionale o con esso convenzionati.
È di tutta evidenza che si tratti di soluzioni a margine, nulla di risolutivo. Anche il welfare aziendale può fare la sua parte, se correttamente spiegato e guidato dai provider. Come recentemente discusso con Il Messaggero, mi pare che il welfare aziendale non solo possa rivelarsi utile per la fidelizzazione e il riconoscimento dell’impegno dei singoli lavoratori (come accade usualmente), ma anche per il Sistema Paese, associando al suo oramai consolidato ruolo sociale anche un nuovo compito, mai indagato in precedenza: il servizio alla diffusione di politiche economiche selettive, volte al sostegno dei settori più colpiti dalla crisi. Lo Stato potrebbe allora trovare nel welfare aziendale un potente alleato (finanziato dal privato e non con il bilancio pubblico) per l’incoraggiamento delle vacanze sul territorio italiano quando finirà la crisi (vanno in questa direzione le proposte di ritorno ai “buoni vacanze” già conosciuti in passato), per la diffusione di più moderne forme assistenza sanitaria con funzioni di monitoraggio delle malattie virali, per l’alfabetizzazione tecnologica dei lavoratori.
Sono solo alcuni esempi, ma è bene accorgersi che nella cassetta degli attrezzi delle imprese è già presente uno strumento prezioso per la ripresa non solo della singole azienda, ma dell’intera nostra economia.
*Il seguente è un estratto dell’editoriale pubblicato su Welfare Update – La Newsletter dei soci AIWA, Marzo 2020