Massagli (AIWA) sui buoni pasto: “Accordi da rivedere”
Emmanuele Massagli, Presidente AIWA, rilascia una dichiarazione riguardante la concessione dei buoni pasto ai lavoratori in smart working*
Cambiate le modalità di lavoro, cambia anche la pausa pranzo ma con quali tutele? L’argomento è alquanto attuale poiché l’orizzonte dominato dalla pandemia Covid-19 ha spinto le piccole e medie imprese fino ai grandi gruppi a incentivare la modalità di lavoro agile per arginare la diffusione del virus e limitare i contagi all’interno delle realtà lavorative ed aziendali (dpcm 11 marzo 2020, art. 90, dl 34/2020). Secondo l’art. 20, legge 81/2017 si riconosce al lavoratore agile il diritto a un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato ai lavoratori che eseguono le medesime mansioni all’interno dell’azienda. Ma può il lavoratore in smart working usufruire del buono pasto, tanto nell’ambito privato che pubblico? Se sì, questo può rientrare nel trattamento economico normativo?
A rispondere al quesito, anche in relazione a delle condizioni contrattuali e sindacali che rispetto al mese di marzo hanno visto un cambiamento, il commento di Emmanuele Massagli, Presidente AIWA – Associazione Italiana Welfare Aziendale:
“Il buono pasto rientra nel trattamento economico obbligatorio dovuto al dipendente in adempimento ad accordi, contratti o regolamenti aziendali. Se vi è quindi un atto obbligatorio che preveda la distribuzione del buono pasto, sia esso esito di negoziazione sindacale (quindi accordo o contratto) o di un vincolo unilaterale (regolamento), il benefit deve essere concesso ai dipendenti, tanto quelli presenti in azienda, quanto quelli coinvolti in smartworking. La stampa ha riportato casi ove questo non è accaduto, poiché non vi era alcun atto obbligatorio sottostante o perché il contratto sindacale esplicitamente prevedeva l’esclusione degli smartworker dal benefit. Nel primo caso, il buono pasto è volontariamente concesso dal datore di lavoro, senza alcun obbligo in questo senso; di conseguenza il datore di lavoro è libero di smettere di distribuire i voucher a fronte di improvvisi peggioramenti dei risultati aziendali (quanto accaduto con la crisi connessa alla pandemia COVID). Nel secondo caso, i sindacati, negli accordi pre-crisi, avevano accettato un trattamento diverso per i lavoratori agili, di conseguenza a questi non sono concessi i buoni, anche ora che è esponenzialmente aumentata la percentuale di smartworker. Si tratta di accordi che sarebbe razionale rivedere, poiché pattuiti con condizioni di base totalmente diverse. Ad ogni modo, finché non viene aggiornato l’accordo, l’azienda può legittimamente non riconoscere il benefit”.
* Il seguente è stato pubblicato su WeWelfare e su Ilmessaggero.it, il 29 settembre 2020