Va bene anche mandare
allo stadio i dipendenti coi figli
Emmanuele Massagli (Aiwa): «Basta forzature da Stato etico, esiste una socialità più larga». A breve però proposte di legge per scoraggiare la dimensione consumistica.
Emmanuele Massagli, docente di pedagogia del lavoro all’Università di Bergamo e presidente di Adapt, l’associazione fondata nel 2000 da Marco Biagi, è alla guida dell’Associazione Italiana Welfare Aziendale — Aiwa, che rappresenta gli operatori nel campo dei servizi di Welfare. Con lui parliamo di valutazione d’impatto.
Massagli, non è un po’ “rischioso” misurare l’impatto sociale per voi fornitori di servizi?
Affatto, da un certo punto di vista, è la stessa natura giuridica del Welfare aziendale a richiederlo. Già prima della riforma del 2016, che lo ha introdotto come lo conosciamo, il legislatore derogava al principio di onnicomprensività del reddito da lavoro, per non appesantire col cuneo fiscale le concessioni “sociali” ai dipendenti.
Quindi?
Verificare l’impatto sociale significa proprio misurare il radicamento e la fondatezza di un piano di Welfare rispetto al motivo per cui esiste. Indipendentemente dalla metodologia adottata, l’importante è trovare una modalità per verificare se i dipendenti, che sono i primi destinatari, le loro famiglie e il territorio ne hanno avuto un vantaggio.
Possibili criteri di misurazione condivisi?
Il piano di Welfare è strettamente connesso al bisogno socio-economico e demografico delle persone che vivono una situazione aziendale specifica. Potrà essere associato per macro-insiemi alla situazione di altre aziende, ma questo è un altro discorso. Al contempo, è indispensabile fornire indicazioni su come creare il piano, sottolineando ad esempio l’importanza di ascoltare gli stakeholder.
Si potrà legare l’efficacia di un piano di Welfare al merito di credito bancario?
I vantaggi per le aziende riguardano altri aspetti. Il primo è la capacità di attrarre e tenere con sé i talenti. Per il giovane che oggi entra nel mondo del lavoro, al datore è decisivo chiedere più flessibilità e che tipo di welfare troverà.
Il secondo?
Un ritorno di immagine sul territorio rilevante per l’azienda che fa un buon welfare. Talvolta però i welfare manager rientrano nell’area comunicazione. Così è un problema, perché il vero beneficiario del welfare è il dipendente, non l’azienda. Meglio che se ne occupino le risorse umane.
Non tutte le misure di welfare sono uguali in termini di impatto sociale.
Dobbiamo superare la semplificazione, quasi da Stato etico, per cui una misura è buona solo se appartiene a una certa categoria. Faccio un esempio provocatorio: se un dipendente non ha familiari non autosufficienti a carico e lavora in un’azienda che copre già l’aspetto sanitario, per lui potrebbe essere oggettivamente molto sociale l’abbonamento allo stadio per andarci ogni domenica con suo figlio.
Come liberare le potenzialità dell’impatto?
Aiwa presenterà alcune proposte in tarda primavera, per ampliare le eccezioni sui beni e servizi che rientrano nel Welfare aziendale. Riguardano gli affitti per gli studenti fuori sede, le spese per gli animali domestici, la possibilità di cedere il credito welfare al Terzo settore e la mobilità sostenibile. Interventi legislativi che scoraggino una dimensione consumistica a vantaggio della dimensione sociale.
Chi è
Classe 1983, pedagogista del lavoro all’Università di Bergamo, membro dell’Associazione Adpt di ricerche sul lavoro fondata nel 2000 da Marco Biagi, Emmanuele Massagli presidente dell’Associazione italiana welfare aziendale — Aiwa. Da Sodexo a Pellegrini, l’Associazione riunisce una serie di grandi player del settore, «Per “fare cultura” sul tema del Welfare aziendale, informare le imprese e tutti gli altri soggetti interessati in merito ad una tematica complessa che negli ultimi anni ha conosciuto una forte espansione».