Welfare contrattato: una soluzione anche contro l’inflazione?
Sia a livello nazionale, come dimostra il rinnovo del CCNL del settore Chimico-farmaceutico, che a livello decentrato, come evidenziano le ricerche di Fondazione Di Vittorio e Assolombarda, il welfare promosso dalle imprese in accordo con le parti sociali è diventato centrale nella contrattazione. Nell’attuale situazione può assumere un ruolo ancora più significativo?
Da oltre un lustro il welfare aziendale e occupazionale è divenuto parte integrante del sistema della contrattazione. Come vi raccontiamo ogni due anni attraverso i nostri Rapporti sul secondo welfare, le parti sociali si trovano sempre più spesso a confrontarsi sui benefit di welfare. Sia nella contrattazione di primo livello, cioè quella nazionale, sia in quella di secondo livello, quindi aziendale e territoriale.
Il tema è oggi più che mai attuale. Il dibattito pubblico si sta concentrando sulla questione dei salari e sul loro adeguamento per contrastare l’inflazione. Il welfare aziendale non è di certo lo strumento che può risolvere questa complessa problematica, ma può contribuire a contenere il rapporto tra salari e inflazione. E le parti sociali sembrano credere in questo.
Il welfare nella contrattazione di primo livello
A dimostrare la centralità del welfare è innanzitutto il fatto che fino al 2021 erano 10 i Contratti Collettivi Nazionali (CCNL), sottoscritti dalle tre sigle sindacali principali, che prevedevano una quota da spendere in flexible benefit, cioè beni e servizi previsti dal datore di lavoro verso i propri dipendenti e che, avendo finalità sociali, non rientrano nel reddito da lavoro.
Questi CCNL interessano 2.416.647 lavoratori, impiegati in 159.360 imprese: si tratta di circa l’11% delle imprese con dipendenti e il 14% dei lavoratori dipendenti del nostro Paese.
Ma i flexible benefit sono solo una parte del welfare presente nei Contratti Collettivi. Praticamente tutti i CCNL più importanti prevedono infatti investimenti per quanto riguarda la previdenza complementare e la sanità integrativa.
Ad esempio, il recente rinnovo del CCNL Chimico-farmaceutico firmato lo scorso 13 giugno, ha previsto alcune novità interessanti. L’accordo, sottoscritto da Federchimica, Farmindustria, Filctem-Cgil, Femca-Cisl e Uiltec-Uil, è uno dei principali contratti del comparto manifatturiero e interessa oltre 3.000 aziende e 210.000 lavoratori.
Come ci ha spiegato Nora Garofalo, Segretaria generale della Femca-Cisl, “il rinnovo contrattuale si è concentrato molto sulla partita economica. Abbiamo sentito la necessità di destinare le risorse all’incremento dei minimi contrattuali, allo scopo di incrementare i salari e quindi il potere d’acquisto dei lavoratori. Abbiamo poi voluto valorizzare molto la formazione, alla quale è dedicata una parte del contratto”.
È stato poi deciso di introdurre un meccanismo per favorire l’accesso ai fondi di previdenza complementare e sanità integrativa. “Per incentivare le adesioni al sistema di welfare dei fondi del settore – cioè Fonchim e Faschim – consentiremo ai lavoratori non iscritti di accedere alla piattaforma elettronica di welfare per verificare i vantaggi offerti dai fondi negoziali, in termini di versamenti e prestazioni. Il settore chimico-farmaceutico vanta già un numero di adesioni molto alto al sistema di welfare contrattuale integrativo, ma vogliamo continuare a incentivarlo in questo modo”.
“Molti accordi di welfare sono realizzati attraverso la contrattazione di secondo livello, specialmente attraverso quella aziendale. Nel nostro settore sono numerose le imprese e le parti sociali che scelgono il welfare”, ci dice Nora Garofalo.
Il rinnovo del Contratto nazionale del settore del commercio
A confermare il fatto che il welfare è un tema di confronto tra le parti sociali, vi è il fatto che su questo istituto si stanno confrontando anche le rappresentanze del CCNL di un altro settore cruciale: quello del commercio.
Come ci ha spiegato il Responsabile Welfare di Confcommercio, Marco Abatecola, “le parti stanno parlando anche di welfare. Non sappiamo ancora se sarà inserito o meno all’interno del prossimo rinnovo: però è senz’altro un oggetto di discussione. In generale come Confcommercio vediamo il welfare aziendale e contrattuale come una delle leve per andare incontro sia alle richieste dei lavoratori sia delle imprese. Per questo stiamo anche ripensando alle prestazioni e agli interventi già previsti dai fondi bilaterali del settore rendendoli sempre più in grado di rispondere ai nuovi bisogni”.
“Il welfare sarà certamente un elemento importante della trattativa così come d’altra parte lo è stato per quella riguardante il Contratto nazionale dei dirigenti del terziario. In questo ultimo accordo di proroga abbiamo infatti inserito, per la prima volta, la possibilità di spendere eventuali premi di welfare aziendale già presenti nelle aziende attraverso una piattaforma direttamente gestita dalle parti firmatarie del CCNL. La piattaforma offre così tutta una serie di beni e servizi previsti dalla normativa sul welfare, dalle misure per la famiglia a quelle più ricreative, ma anche la possibilità di integrare in maniera diretta ed efficiente le coperture e prestazioni già offerte dai nostri enti contrattuali, pensionistici, di formazione e sanitari, offrendo così un livello di copertura sempre più vasto ed efficace”.
Il welfare nella contrattazione di secondo livello
Il welfare aziendale è poi un istituto portante della contrattazione decentrata, cioè quella aziendale e territoriale. Lo è, in primo luogo, perché è spesso legato agli strumenti di produttività. Ad evidenziarlo sono i dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, che stima in oltre 2,5 milioni i lavoratori che possono accedere al welfare in quanto previsto da un accordo che regolamenta il Premio di Risultato annuale (per approfondire).
Ma ci sono anche altre fonti che avvalorano la tesi secondo cui il welfare sarebbe sempre più rilevante nella contrattazione di secondo livello.
La prima è il Terzo Rapporto sulla contrattazione di secondo livello, curato da Fondazione Di Vittorio per Cgil, che considera il triennio 2019-2021 e analizza 862 accordi di vari settori produttivi e riguardanti imprese di diverse dimensioni.
Il report evidenzia come vi sia stato arretramento dovuto dalla crisi pandemica, come riportato anche lo scorso anno. Oggi però la contrattazione del welfare sembra tornare ai livelli pre-Covid. Secondo la stima di Fondazione Di Vittorio i benefit di welfare sono presenti in oltre il 21% degli accordi di secondo livello sottoscritti da Cgil: la percentuale arriva al 36% nelle grandi imprese con più di 250 dipendenti.
La ripresa della contrattazione del welfare è stata particolarmente forte dalla seconda parte del 2021, in cui le misure e le prestazioni di welfare per i dipendenti sono presenti nel 27% degli accordi aziendali di quel periodo. In particolare il report segnala una diffusione importante in particolare dello strumento del “conto welfare”, quindi della previsione di un budget da spendere autonomamente – spesso attraverso una piattaforma digitale – per una serie di beni e servizi previsti dalla normativa.
L’Osservatorio Welfare di Assolombarda
Un’altra recente fonte di dati è l’Osservatorio Welfare di Assolombarda, pubblicato a giugno 2022 e riguardante lo scorso anno. L’indagine, condotta tra le associate di Assolombarda, offre uno spaccato per il territorio di Milano, Monza, Pavia e Lodi. Tra le 300 imprese che hanno partecipato, circa il 60% fa contrattazione di secondo livello e in tutto il 75% fa anche welfare aziendale contrattato.
Secondo Stefano Passerini, Direttore del Settore Lavoro, Welfare e Capitale umano di Assolombarda, “si registra un trend in deciso incremento per quanto concerne la presenza del welfare nella contrattazione aziendale; dai dati dell’Osservatorio si può vedere come il welfare aziendale sia tra le materie più presenti tra quelle regolamentate dai contratti aziendali. Infatti, è presente nel 75% degli accordi vigenti tra le imprese associate ad Assolombarda che hanno partecipato alla raccolta dati dell’indagine. Credo che per il futuro vi sarà un consolidamento, con un ulteriore incremento a favore del welfare nella contrattazione aziendale che, per sua natura, risponde come un abito su misura alle esigenze di attraction, retention ed engagement delle singole imprese”.
L’Osservatorio, grazie alla collaborazione con alcuni operatori di welfare aziendale, dispone poi di informazioni riguardanti le somme mediamente spese dai beneficiari di welfare aziendale e in merito alle prestazioni più richieste dai lavoratori. A questo riguardo, l’importo medio da spendere in welfare è stato nel 2021 pari a 1.080 euro, in forte aumento rispetto all’anno precedente (+38% rispetto ai 780 del 2020).
“Nell’ambito delle varie di misure di welfare aziendale”, continua Passerini, “possiamo anzitutto notare come la previdenza complementare si trova comunque sempre tra le prime quattro posizioni dei servizi offerti dalle imprese: gli altri sono i fringe benefit, l’area culturale e ricreativa e il settore dell’istruzione. Per quanto riguarda la domanda dei lavoratori, l’assistenza sanitaria unitamente alle aree dell’istruzione e quella ricreativa sono sempre molto richieste e rappresentano le quote di spesa dei lavoratori in welfare più consistenti”.
Quali prospettive per il welfare contrattato?
Il welfare è stato uno strumento molto utile alle parti sociali nel corso degli ultimi anni. Lo stesso Passerini di Assolombarda ci ha infatti confermato che “la finanziaria del 2016 che ha detassato i servizi di welfare, ha ‘sdoganato’ gli accordi sindacali in materia favorendone il proliferare. Precedentemente il welfare era detassato solo se veniva erogato su iniziativa unilaterale del datore di lavoro e pertanto il sindacato di fatto era solo ‘spettatore’ delle iniziative di welfare delle imprese”.
“Oggi lo scenario è radicalmente cambiato e il welfare viene trattato soprattutto nell’ambito dei rinnovi dei contratti integrativi aziendali. In sintesi, il welfare aziendale può ritenersi a pieno titolo un utile strumento negoziale che contribuisce a rendere il sistema delle relazioni industriali un asset competitivo per la gestione delle risorse umane”.
E questo nonostante le crisi e le difficoltà che stiamo vivendo. Prima il Covid ha infatti “dirottato” l’attenzione delle parti sociali su altri temi. Ora invece è l’inflazione che preoccupa. Con ogni probabilità la quota degli accordi che prevedono misure e politiche di welfare resterà però stabile e, in breve tempo, tornerà a crescere.
Lo stesso Luigi Sbarra, Segretario Generale di Cisl, ha recentemente affermato in una sua intervista al quotidiano Repubblica che per contrastare (almeno in parte) l’inflazione sarebbe necessario “introdurre nuovi strumenti che permettano alle fasce deboli acquisti dei beni di largo consumo in esenzione Iva, e detassare i fringe benefits contrattuali fino a 1.000 euro dagli attuali 258“.
Questo perché il welfare aziendale è un’opportunità sia per l’impresa sia per i lavoratori. E lo è anche per le parti sociali che, grazie al welfare, ridefiniscono il focus della contrattazione e riescono a mettere al centro dello scambio negoziale il benessere (personale, lavorativo e familiare) dei lavoratori. Ed è questo che è chiesto a chi si occupa di relazioni sindacali.
Questo articolo fa parte di un filone di un approfondimento sui temi del welfare
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