Fringe benefit a 3.000 euro solo per chi ha figli: «Discriminatorio e ingestibile»
Il decreto Lavoro ha alzato la soglia dei fringe benefit a 3.000 euro per il 2023, ma solo per i dipendenti con figli a carico. Una scelta critica dai sindacati e bocciata da Aiwa, l’associazione che riunisce i provider di welfare aziendale italiani, in quanto rischia di creare disparità tra i lavoratori.
«Malgrado la scelta sia ispirata ad un giusto principio di sostegno della genitorialità, la norma si presenta di fatto, ingestibile e inattuabile, anche sulla base della necessità di non poter differenziare i trattamenti di welfare tra i lavoratori da parte delle imprese», ha evidenziato in una nota Roberto Benaglia, segretario generale della Fim Cisl. «Chiediamo pertanto al governo che nel percorso di conversione del decreto, torni al confronto con le parti sociali e alzi per tutti i lavoratori la soglia dei 258 euro – che ricordiamo è ferma da oltre 30 anni – e va adeguata ai livelli salariali di oggi», aggiunge il sindacalista. Secondo la Fim Cisl sarebbe giustificato e utile alzare a 1.000 euro tale soglia, rapportandola in parte al ruolo della contrattazione collettiva.
Le perplessità dei provider di welfare
Anche Aiwa, in un documento inviato alla decima commissione del Senato in occasione di un audizione sul dl Lavoro, aveva espresso perplessità su questa norma, che a detta dell’associazione che riunisce i provider di welfare aziendale italiani, risulta «poco fruibile da tutte le imprese che abbiano codici etici e/o regolamenti rigidi su ogni possibile forma di discriminazione». Anche in assenza di documenti di questo genere, sottolinea Aiwa, le imprese con un organico molto eterogeneo per fasce di età, avrebbero difficoltà a rivolgere piani di benefit per una minoranza della forza lavoro escludendo il resto dei dipendenti.
Secondo l’Associazione italiana welfare aziendale, «risulta difficile prevedere la costruzione ex novo di piani welfare dedicati solo ai dipendenti con figli. Una fattispecie, questa, che potrà forse verificarsi nella piccola impresa, che è però il ‘taglio’ di soggetto giuridico meno in confidenza con il welfare aziendale, in ragione della minore informazione e, soprattutto, delle più esigue disponibilità a bilancio. Più facile prevedere una differente modulazione del paniere di beni e servizi di welfare per i destinatari con figli, all’interno però di un budget già stanziato e uguale all’interno delle tradizionali categorie attorno alle quali si costruiscono queste politiche».
Aiwa: «Norma che non aiuta chi ha figli»
«Se si verificasse questa ipotesi – continua il documento di Aiwa – assisteremmo a una curiosa eterogenesi dei fini: la norma non soltanto non riuscirebbe a incentivare la scelta genitoriale incoraggiandola con (la promessa di) un trattamento di welfare migliorativo (intento ostacolato dalla ristretta durata della disposizione, inferiore anche ai nove mesi di gravidanza), ma addirittura potrebbe allontanare i destinatari con figli da quei beni e servizi maggiormente vocati alla cura familiare».
Aiwa quindi propone al legislatore di intervenire stabilendo la possibiltà della cessione del credito welfare a colleghi con esigenza di cura, delle spese di affitto per gli studenti fuori sede, delle spese per la cura degli animali domestici, della destinazione del credito welfare al Terzo settore, della mobilità sostenibile, degli interessi passivi del mutuo per prima casa.
Secondo l’associazione dei provider di welfare se l’obiettivo della norma è spingere le persone a fare più figli, è improbabile che si riesca a raggiungerlo con una misura che scade dopo 7 mesi e quindi non copre neanche l’intera gravidanza. Se invece l’idea è aiutare i lavoratori che hanno già figli attraverso un meccanismo di premialità, il welfare prevede già misure con finalità specifiche come i bonus per asilo nido e baby-sitting.
*Il seguente articolo è stato pubblicato su Corriere.it, il 19 maggio 2023