Una breve riflessione sui provvedimenti 2023 di sostegno al welfare aziendale

da Set 18, 2023Studi e approfondimenti

di Stefano Malandrini*

 

Il riconoscimento disposto dall’art.40 del D.L. n.48 del 4 maggio 2023, per il periodo di imposta 2023, di un limite di esenzione fiscale e contributiva di 3000 euro per i c.d. fringe benefit, in deroga al minor limite di 258,23 euro altrimenti previsto dall’art.51, comma 3, terzo periodo del TUIR (DPR n.917 del 22 dicembre 1986) è stato oggetto di dettagliate precisazioni dell’Agenzia delle Entrate con circolare n.23/E del 1° agosto 2023. I chiarimenti interpretativi, dei quali gli operatori d’impresa stanno prendendo atto, sono sostanzialmente allineati a quelli rinvenibili nella precedente circolare A.E. n.35 del 4 novembre 2022, riferita ad una similare agevolazione introdotta dall’art.12 del D.L. n.115 del 9 agosto 2022 (Aiuti-bis), con un limite di esenzione di 600 euro successivamente incrementato a 3000 euro dall’art.3 del D.L. n.176 del 18 novembre 2022 (Aiuti-quater). L’unica differenza sostanziale, evidenziata dalla circolare n.23/E, è riferibile al nuovo presupposto soggettivo previsto dal Decreto. Ora i fruitori dell’agevolazione devono essere lavoratori dipendenti con figli (compresi i nati fuori dal matrimonio riconosciuti ed i figli adottivi/affidatari) fiscalmente a carico. Una restrizione che la circolare approfondisce e chiarisce negli aspetti operativi ma che, negli aspetti sostanziali, può risultare poco funzionale alle finalità degli interventi di welfare aziendale, frequentemente applicati alla generalità dei lavoratori.
 
Trattamenti riservati possono infatti generare non fidelizzazione ma recriminazioni dei lavoratori esclusi, risultando inopportuni. Una perplessità che si aggiunge a quelle relative al valore di 200 euro di buoni carburante, fiscalmente agevolati per l’anno corrente dall’art.1 comma 1 del D.L. n.5 del 14 gennaio 2023, ma assoggettati a contribuzione dalla legge di conversione n.23 del 10 marzo 2023.  Uno degli stimoli che inducono le imprese ad erogare welfare aziendale è infatti notoriamente il risparmio di costo del lavoro, derivante principalmente dalla riduzione o eliminazione dell’aliquota contributiva a carico del datore di lavoro. Gli interventi normativi di promozione del ricorso al welfare aziendale del 2023 non sembrano quindi avere espresso una dinamica del tutto confacente alle esigenze degli operatori d’impresa, potenzialmente interessati. Si tratta di una problematica non nuova. Si consideri infatti, in riferimento alla regolamentazione vigente, che:
 
– le offerte di welfare derivate dalla conversione dei premi di risultato aziendali (PDR), ai sensi dell’art.1 comma 184 della Legge n.208 del 28 dicembre 2015, sono vincolate – come precisato dalla circ. AE n.28/E del 15 giugno 2016 par.3.1- all’incremento continuo dei risultati degli indicatori di performance prescelti, realizzato in un congruo periodo di riferimento definito dalle parti. Una logica premiale comprensibile se riferita alle finalità incentivanti dei PDR, meno rispetto al welfare aziendale, che potrebbe utilmente valorizzare il carattere personale del rapporto di lavoro dando riscontro positivo, con compensazioni non monetarie, alle esigenze rilevate dai lavoratori anche prescindendo dalla performance aziendale;
 
– il ricorso al welfare c.d. puro ovvero non derivante da conversione di premi di risultato, secondo gli orientamenti ripetutamente espressi dall’A.E. – vedasi in particolare la risoluzione n.55/E del 25 settembre 2020 – non può consistere in fringe benefit la cui erogazione sia legata alla prestazione individuale quindi all’effettiva partecipazione al lavoro, in termini quantitativi e qualitativi, in quanto assumerebbe una illecita valenza retributiva. Ne consegue tuttavia una limitazione alla pianificazione di soluzioni di welfare con finalità gestionale ovvero come strumento funzionale alla soluzione di problematiche organizzative aziendali quali l’assenteismo individuale, la conciliazione dei tempi di lavoro, lo sviluppo delle competenze etc. Un approccio in tal senso talora non può prescindere da una impostazione correlata ad alcuni aspetti della prestazione di lavoro;
 
– l’omogeneità categoriale, che la normativa frequentemente prevede in riferimento ai destinatari di proposte di welfare aziendale come condizione necessaria per l’applicazione del regime agevolato – ad esempio è necessaria per le opere o servizi di cui all’art.51 comma 2 lettera f) del TUIR quindi convenzioni, abbonamenti, corsi etc. – penalizza possibili diversificazioni soggettive. Queste tuttavia potrebbero meglio soddisfare le esigenze personali dei lavoratori e non impegnare l’azienda nella predisposizione di offerte troppo ampie, che potrebbero risultare non sostenibili.
 
Il quadro normativo attuale è quindi in parte contraddittorio ovvero per alcuni aspetti promuove, per altri aspetti contingenta e limita l’accesso alle agevolazioni, riducendo quindi l’efficacia promozionale complessiva delle disposizioni. Tuttavia la diffusione del welfare aziendale, in affiancamento al c.d. welfare contrattuale nazionale (sostanzialmente incentrato sulla previdenza complementare e sull’assistenza sanitaria integrativa) è significativa solo nelle grandi e medie imprese, mentre sconta ancora difficoltà di penetrazione nelle PMI e nelle microimprese, come recentemente evidenziato anche da una analisi della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro (“Il welfare aziendale: diffusione e prospettive nelle PMI.” Giugno 2023), con applicazione valutata “bassa” o “molto bassa” nel 90% delle situazioni campionate pure nei territori caratterizzati da sistemi imprenditoriali e sociali evoluti.
 
In generale può sembrare che, a fronte della persistente esigenza di  stimolare adeguatamente una parte delle imprese alla valorizzazione della componente non economica del rapporto di lavoro, che ha originato la decina di provvedimenti legislativi di sostegno emanati successivamente alla Legge n.208 del 28 dicembre 2015, il contenuto dei provvedimenti non componga un quadro che ne favorisca effettivamente la piena diffusione, per vincoli applicativi e scarsa coerenza con le finalità del welfare aziendale. I provvedimenti del 2023 sembrano anch’essi manchevoli, in quanto introducono agevolazioni significative ma con formule poco praticabili. È ricorrente, nell’ordinamento lavoristico nazionale, la mutevolezza degli orientamenti legislativi e la conseguente incoerenza negli sviluppi delle riforme, frequentemente condizionate da variazioni sopravvenute nelle sensibilità degli uffici ministeriali competenti. Si pensi alla regolamentazione del contratto a termine, alternativamente liberalizzato/irrigidito dai provvedimenti intercorsi dal 2015. In riferimento tuttavia al tema del welfare aziendale, di generale apprezzamento da parte di tutti gli attori sociali, il difetto di finalizzazione dei provvedimenti legislativi appare forse meno comprensibile e ne rende auspicabile il superamento.

*Il seguente articolo è stato pubblicato su Bollettinoadapt.it, il 18 settembre 2023 

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