Verso la Manovra 2024: cosa accadrà ai fringe benefit?
In vista della Legge di Bilancio il Governo sta riflettendo sulle misure di sostegno al reddito di lavoratori e lavoratrici. Sembra che l’intenzione sia quella di innalzare a 1.000 euro i fringe di welfare aziendale. Questa volta per tutti i dipendenti.
di Valentino Santoni*
Come ogni anno, nel periodo di settembre inizia il dibattito politico sulla Manovra di Bilancio per il prossimo anno. I temi su cui la maggioranza di Governo si sta confrontando sono molti. Tra questi ci sono anche i cosiddetti fringe benefit, cioè quell’insieme di misure di sostegno al reddito dei lavoratori/trici che godono di specifici benefici fiscali per le imprese 1.
Come riportato dalle più importanti testate italiane (come Il Sole 24 Ore, La Repubblica e Il Corriere della Sera), pare che l’Esecutivo voglia innalzare dal prossimo anno la soglia di defiscalizzazione dei fringe, portandoli da 258,23 a 1.000 euro per tutti i lavoratori/trici, indipendentemente dalla presenza o meno di figli a carico. Ma da dove arriva questa scelta?
Il dibattito sui fringe benefit
Come vi abbiamo raccontato negli ultimi anni, dal 2020 gli Esecutivi che si sono succeduti hanno prodotto una serie di interventi normativi finalizzati a garantire un aumento temporaneo della soglia di deducibilità dei fringe benefit. In particolare il limite entro cui le imprese hanno potuto beneficiare del vantaggio fiscale per questi strumenti è stato raddoppiato nel 2020 e nel 2021, passando da 258,23 a 516,46 euro. Nel 2022 tale soglia è stata prima innalzata a 600 euro (con il Governo Draghi) e poi a 3.000 euro (con il Governo Meloni). Nel 2023, con il Decreto Lavoro, la soglia è stata portata ancora a 3.000 euro (fino al 31 dicembre) ma solamente per coloro che hanno figli a carico.
La scelta di intervenire proprio sui fringe è dipesa soprattutto dal fatto che sono di facile utilizzo per imprese e lavoratori/trici. Si tratta infatti di buoni o card acquisto, forniti da apposite società provider, che possono essere utilizzati presso le catene della GDO o similari. Pur non avendo niente a che fare con il welfare in senso stretto, si tratta quindi di un meccanismo attraverso cui le aziende possono sostenere le spese quotidiane dei propri collaboratori.
Al tempo stesso, come spiegato in questo approfondimento, parlare solamente di fringe benefit può essere un limite allo sviluppo futuro del welfare aziendale. Per la loro stessa natura, infatti, i fringe finiscono per divenire una forma di “compensazione” della retribuzione, piuttosto che un’occasione per accedere a servizi di natura sociale, assistenziale o di cura. Si rischia quindi di favorire una deriva “consumistica” del welfare d’impresa, che finisce per veicolare le risorse investite dalle imprese in buoni acquisto spendibili nelle grandi piattaforme dell’e-commerce piuttosto che in una filiera di servizi e prestazioni basata sui fornitori locali (per approfondire).
È possibile andare oltre i fringe benefit?
Ma non finisce qui. La scelta che l’Esecutivo è chiamato a fare ha un peso economico rilevante. Come riporta Il Sole 24 Ore se, come sembra, si vuole infatti innalzare la soglia dei fringe a 1.000 euro, garantendo al tempo stesso anche la tassazione agevolata sui premi di produttività (al 5%) servono tra gli 1 e i 2 miliardi di euro. Una cifra non di poco conto.
Per tutte queste ragioni, sarebbe auspicabile che il Legislatore si concentrasse su altri aspetti del welfare aziendale, allo scopo di facilitare l’utilizzo di servizi di natura sociale, sanitaria e assistenziale, quindi dedicati all’infanzia e a familiari anziani e non autosufficienti.
Una possibilità è quella di superare la logica del rimborso e consentire il pagamento diretto di queste prestazioni attraverso il budget welfare di lavoratori e lavoratrici. Al tempo stesso si potrebbe innalzare il vantaggio fiscale esclusivamente nel caso in cui i fringe benefit siano utilizzati per l’acquisto di servizi. In questo modo si potrebbero incentivare le prestazioni sociali a scapito dei buoni acquisto e buoni spesa.
Sarebbe poi cruciale prevedere sgravi fiscali e incentivi per quelle imprese che fanno welfare “in rete”, anche e soprattutto con il territorio. Facciamo riferimento a quelle iniziative che – attraverso la contrattazione, la collaborazione tra le parti sociali e la costituzione di reti di impresa o multistakeholder – puntano a coinvolgere il tessuto economico e imprenditoriale locale, il Terzo Settore e l’attore pubblico, allo scopo di creare servizi per i lavoratori, le loro famiglie e, in alcuni casi, anche per il territorio. Per approfondire queste proposte vi rimandiamo a questo nostro articolo.