Riscatto dei periodi non coperti da contribuzione come misura di welfare aziendale
di Silvia Spattini*
La legge di bilancio 2024 ha introdotto una misura che consente ai lavoratori di riscattare, ai fini pensionistici, periodi non coperti da contributi previdenziali, c.d. “buchi contributivi”. Questa facoltà, si rivolge a specifiche categorie di lavoratori e offre la possibilità di colmare i periodi contributivi mancanti, con oneri che possono essere sostenuti anche dal datore di lavoro.
Tale opportunità non è, invero, una novità nell’ordinamento italiano, poiché la relativa disciplina riprende quasi integralmente la disciplina di cui all’articolo 20, commi da 1 a 5, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, che aveva già previsto tale tipologie di riscatto di periodi contributivi per il triennio 2019-2021 (cfr. la circolare n. 106 del 25 luglio 2019).
La disciplina del riscatto dei periodi non coperti da contribuzione
È l’articolo 1, commi da 126 a 130, della legge di bilancio per il 2024 (legge 30 dicembre 2023, n. 21) che disciplina il riscatto dei periodi non coperti da retribuzione, facoltà che può essere esercitata tra il 1° gennaio 2024 e il 31 dicembre 2025.
L’anzianità contributiva acquisita dal lavoratore attraverso il riscatto vale ai fini del conseguimento del diritto alla pensione e per la determinazione della sua misura.
Destinatari
Per poter essere destinatari di questa misura, i lavoratori devono: essere iscritti all’assicurazione generale obbligatoria (AGO) per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti (IVS) dei lavoratori dipendenti e alle forme sostitutive oppure alle gestioni speciali dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, imprenditori, coltivatori diretti, coloni e mezzadri, imprenditori agricoli professionali) o alla Gestione separata; privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 e non essere già titolari di pensione.
Periodo riscattabile
Il riscatto può coprire fino a un massimo di cinque anni anche non continuativi per periodi compresi tra il 31 dicembre 1995 e il 1° gennaio 2024. Inoltre, tali periodi da riscattare devono collocarsi tra l’anno del primo e quello dell’ultimo contributo accreditato (obbligatorio, figurativo, da riscatto) a una delle gestioni sopra menzionate (con esclusione, pertanto, delle Casse per i liberi professionisti, gli ordinamenti previdenziali di Stati esteri o i Fondi di previdenza dell’Unione europea; v. circolare INPS n. 69 del 29 maggio 2024). Poiché il riferimento temporale è «l’anno» del primo e ultimo contributo, di conseguenza il periodo da riscattare può precedere la data del primo contributo e seguire quella dell’ultimo, a condizione comunque che sia riferito allo stesso anno del contributo iniziale o finale e che rientri nel periodo compreso tra il 1° gennaio 1996 e il 31 dicembre 2023 (v. circolare INPS n. 69 del 29 maggio 2024).
Si precisa, inoltre, che i periodi riscattabili sono soltanto quelli non soggetti a obbligo contributivo. Pertanto, non possono essere riscattati periodi nei quali è stata svolta attività lavorativa con obbligo di versamento contributivo, ma non siano stati versati i contributi. In questo caso, occorre fare riferimento alle procedure di regolarizzazione contributiva.
Il calcolo del costo del riscatto contributivo
L’onere per il riscatto viene calcolato con il metodo contributivo, applicando l’aliquota contributiva in vigore alla data della domanda nella gestione pensionistica nella quale opera il riscatto sulla base di calcolo, costituita dalla retribuzione assoggettata a contribuzione nei dodici mesi precedenti o più prossimi alla data della domanda.
Il riscatto dei periodi contributivi come misura di welfare aziendale
Il riscatto dei periodi non coperti da contribuzione può essere considerata una misura di welfare nella misura in cui nel settore privato i premi di produzione spettanti al lavoratore possono essere utilizzati per la copertura del costo del riscatto (art. 1, comma 129, legge n. 213/2023; v. Circolare Agenzia delle Entrate n. 5/E del 7 marzo 2024) e, quindi, “trasformati” in versamenti contributivi a fini pensionistici.
In questa ipotesi, la domanda di riscatto è presentata dal datore di lavoro tramite l’apposito modulo AP135 disponibile sul sito dell’INPS. L’importo da versare per la copertura dell’onere del riscatto può essere corrisposto in un’unica soluzione o rateizzato fino a un massimo di 120 rate mensili, senza interessi (v. circolare INPS n. 69 del 29 maggio 2024).
Vantaggi fiscali per il datore di lavoro e il lavoratore
Se il riscatto è effettuato dal datore di lavoro versando il premio di produzione del lavoratore, si determinano specifici vantaggi fiscali. I contributi versati per il riscatto non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente del lavoratore, in quanto rientrano tra i contributi previdenziali non soggetti a tassazione, come previsto dall’articolo 51, comma 2, lettera a) del TUIR (v. circolare Agenzia delle Entrate n. 5/E del 7 marzo 2024).
Poiché i contributi versati non costituiscono reddito, non sono soggetti a contribuzione non solo del lavoratore, ma anche del datore di lavoro (che invece pagherebbe i contributi sociali se erogasse il premio di produzione in denaro), inoltre l’importo versato dal datore per il riscatto contributivo è deducibile dal reddito d’impresa o dal reddito di lavoro autonomo del datore, ai sensi dell’art. 95 del TUIR (art. 1, comma 129, legge n. 213/2023; v. circolare Agenzia delle Entrate n. 5/E del 7 marzo 2024).
Osservazioni conclusive
Questa misura rappresenta un’opportunità significativa per i lavoratori di colmare i periodi contributivi scoperti, migliorando così la loro posizione pensionistica, eventualmente anche con il sostegno economico del datore di lavoro.
È importante sottolineare che la legge non fornisce la definizione di “premi di produzione spettanti al lavoratore” utilizzabili per sostenere l’onere del riscatto. In particolare, non sono richiamate le disposizioni che regolano la conversione del premio di risultato detassabile in strumenti di welfare aziendale. Non è neppure previsto che siano premi rivolti alla generalità o a categorie di dipendenti, né che derivino da contratti collettivi di secondo livello. Pertanto, salvo eventuali futuri interventi legislativi o interpretazioni restrittive dell’Agenzia delle Entrate, i premi di produzione spettanti al dipendente e la loro conversione in oneri per il riscatto possono essere erogati su base individuale, senza compromettere le agevolazioni fiscali. In sostanza, il datore di lavoro può decidere di premiare anche un singolo lavoratori o alcuni lavoratori, convertendo la premialità nel versamento per il riscatto dei periodi contributivi non coperti.
Questa maggiore flessibilità e “libertà di manovra” facilita l’adozione di questa misura come strumento di welfare aziendale. Inoltre, anche i lavoratori destinatari di un premio di produzione possono proattivamente richiedere al datore di lavoro di poter utilizzare tale premio per il riscatto dei periodi non coperti da contribuzione.
Si tratta di una soluzione economicamente vantaggiosa per entrambe le parti: il lavoratore ha la possibilità di riscattare i contributi, incrementando il proprio montante previdenziale, e beneficiare della deduzione fiscale prevista. Allo stesso modo, il datore di lavoro può dedurre integralmente il costo del riscatto dal reddito d’impresa e ridurre i costi indiretti del lavoro, poiché non dovrà versare i contributi sull’importo del premio di produzione, contributi che sarebbero invece dovuti se il premio fosse erogato in denaro.
*Il seguente articolo è stato pubblicato su Bollettinoadapt.it, il 16 settembre 2024