Welfare, non solo cibo e benzina

da Apr 9, 2025Rassegna Stampa

Una panoramica dei benefit più richiesti dai lavoratori italiani. Aziende ancora indietro.

Priorità a flessibilità e fitness, ma anche a salute e cultura.

di Antonio Longo*

Anche il welfare aziendale determina la felicità sul posto di lavoro. A pensarlo è il 60% dei lavoratori italiani, anche se per il 45% dei dipendenti rappresenta un elemento di benessere ma non un plus per cambiare azienda.

A rilevarlo sono gli esiti dell’indagine dell’Osservatorio BenEssere Felicità, realizzata con la partnership tecnica di Up Day, secondo cui, in generale, è il concetto stesso di welfare aziendale che sta cambiando.

Infatti, in base a quanto emerge dal focus, serve una nuova grammatica su cos’è il welfare aziendale e cosa non lo è, perché emerge un disincanto dovuto anche alle eccessive aspettative di un welfare aziendale che non può competere o sostituirsi al welfare pubblico.

«Il welfare pubblico, nel 2022, era di poco inferiore a 650 miliardi, a fronte dei 3 miliardi di quello privato, paradossalmente le risposte che vedono più determinante il welfare aziendale nella felicità dei lavoratori sono distribuite nei territori con un minor grado di diffusione degli stessi strumenti di welfare» afferma Mariacristina Bertolini, vicepresidente e direttore generale Up Day e direttrice zona Euromed di Up. «Crediamo che questo sia dovuto al fatto che, chi l’ha ottenuto, ha compreso quanto il vero welfare non sia solo buoni pasto o buoni carburante, ma è qualcosa che promuove l’accompagnamento ai bisogni dei cicli di vita, la promozione dell’unicità delle persone, dello smart working, dei programmi di supporto alla genitorialità o del caregiving».

In pratica, il welfare aziendale, a giudizio degli analisti, non può più essere solo un pacchetto di benefit, ma deve evolversi verso un modello che metta al centro ciclo di vita, bisogni reali, relazioni, flessibilità e supporto alla vita personale. Ma, allo stato,

  • il 18% degli intervistati dichiara che la propria azienda non eroga nulla,
  • solo il 13% ritiene che nella propria azienda o organizzazione vengano promossi programmi di supporto alla genitorialità e solo il 10% programmi di supporto al caregiving.

Nel 2024, comunque, il welfare aziendale ha visto un significativo incremento nelle erogazioni totali, segnando una crescita del 72,83% rispetto al 2023. Tale aumento è stato trainato, principalmente, dai buoni regalo digitali che hanno registrato un incremento del 201,23%.

Soddisfatti e insoddisfatti a confronto.

In un’Italia meno felice del 2024 (con una media di 3.09 punti su 5 rispetto al 3.24 dell’anno scorso), la ricerca rileva che alla domanda «Quanto ti senti felice del tuo lavoro?» le donne superano gli uomini, la Generazione Z è capofila e seguono a ruota Baby Boomers, Millennials e Generazione X.

«Quest’anno abbiamo visto che rallenta lievemente la Great Resignation, alla domanda se “ti piacerebbe avere la possibilità di cambiare posto di lavoro o lavoro nei prossimi 12 mesi?” il 59.9% dice di no (nel 2024 era il 55%).

Rimane costante il 24% di chi vorrebbe cambiare azienda o posto di lavoro, ma scende la percentuale di chi vorrebbe cambiare lavoro o mestiere al 17% (l’anno scorso era il 21%)» evidenzia Elisabetta Dallavalle, presidente dell’associazione Ricerca Felicità.

«Tra gli aspetti considerati più importanti nello scegliere un nuovo posto di lavoro rimane alla prima posizione “avere uno stipendio maggiore”, che rispetto al 42% dell’anno scorso sale al 48%, oltre 25 punti percentuali sopra flessibilità (22%) e opportunità di crescita (21%). Scende “l’avere un welfare dell’azienda o del settore migliore” dal 17% del 2024 al 13% e anche quest’anno lavorare in un ambiente/azienda con un marchio noto risulta essere l’ultima scelta per i lavoratori e le lavoratrici italiane».

Tra dipendenti e autonomi sono più felici del proprio lavoro questi ultimi e i laureati lo sono più di chi non ha avuto un percorso formativo universitario. Alla domanda “Secondo te, quanto il welfare aziendale determina la felicità dei/delle collaboratori/collaboratrici in azienda?” emerge che uomini e donne sono pressoché allineati, tra le generazioni i più positivi sono i Millennials, seguono Baby Boomers, Generazione Z e Generazione X. Il Sud e le Isole guidano geograficamente questa consapevolezza, seguono Nord Ovest, Nord Est e chiude il Centro. «A livello generazionale i dati sono molto tipici, la Generazione X soffre un po’ di più, comincia a conoscere il lavoro e le sue dinamiche, manca ancora del tempo alla pensione e inizia ad andare in sofferenza mentre la generazione Z e i Millennials sperano ancora di fare un salto di qualità, i Baby Boomers, invece, sono pronti a lasciare andare» rileva Sandro Formica, direttore scientifico dell’associazione Ricerca Felicità.

Le soluzioni di welfare più richieste.

Otto italiani su dieci chiedono più azioni di welfare da parte del proprio datore di lavoro. Il prossimo passo per le aziende è, quindi, quello di proporsi come veri e propri «hub del welfare», capaci di accogliere le richieste di benessere che vengono dalle persone e di indirizzarle alle più corrette soluzioni.

A rivelarlo sono i risultati dell’8° rapporto Eudaimon-Censis in base ai quali l’88,9% dei lavoratori italiani conosce il welfare aziendale mentre l’85,7% ne chiede l’introduzione all’interno del proprio posto di lavoro o il potenziamento laddove i benefit sono già esistenti.

«Ogni individuo, anche quando si trova al lavoro, ambisce a stare meglio, purtroppo sono molteplici le cause di malessere» commenta Alberto Perfumo, amministratore delegato di Eudaimon. «Così aumenta lo stress che poi ci portiamo sul posto di lavoro. Il gap è grande tra l’aspirazione al benessere olistico, un benessere che si articola nelle diverse componenti fisica, mentale, emotiva, sociale, economica, e le difficoltà di tutti i giorni. Essere per le aziende un hub del benessere non è più una scelta, ma una necessità».

Come emerge dal rapporto, infatti, l‘aspettativa dei lavoratori riguarda proprio la personalizzazione dei piani di welfare, affinché possano rispondere in modo adeguato a tutte le richieste.

Gli analisti hanno, inoltre, individuato i servizi più richiesti dai lavoratori: l’84,8% degli intervistati considera fondamentale l’aumento delle opportunità di formazione, sviluppo e crescita professionale, il 79,5% del campione apprezzerebbe maggiormente i servizi dedicati all’accesso nelle palestre o a corsi fitness di vario tipo, per il 75,9% dei lavoratori italiani l’accesso ad attività culturali, come musei, teatri, cinema ed eventi rientra tra i benefit più desiderati, il 70,1% riconosce la centralità della salute mentale, con servizi a supporto come i programmi di gestione dello stress, il counseling psicologico o servizi di supporto emotivo, infine il 41,8% degli intervistati manifesta la necessità di un welfare coach, ossia un consulente esperto, interno all’azienda di riferimento, che possa fungere da guida per orientarsi nella scelta dei servizi welfare all’insegna di suggerimenti e indicazioni su sanità, assistenza a non autosufficienti, previdenza sociale e assicurazioni.

In tanti vorrebbero lasciare l’azienda già il primo giorno. Le prime impressioni contano, anche nel lavoro e nella relativa aria che si respira in ufficio. Tanto è vero che il 71% dei dipendenti italiani ha pensato di lasciare la nuova azienda dopo un solo giorno di lavoro, a fronte di una percentuale europea che si attesta al 46%. È quanto emerge dagli esiti di un sondaggio condotto da Michael Page secondo cui un processo di onboarding mal gestito può compromettere l’esperienza dei neoassunti, influenzando negativamente la loro decisione di rimanere in azienda.

«Il processo di onboarding è fondamentale per l’integrazione di ogni nuovo assunto» osserva Francesca Caricchia, direttore esecutivo senior di PageGroup. «Tuttavia, sebbene molte aziende ne riconoscano l’importanza, l’esecuzione spesso non è all’altezza delle aspettative. I dati del nostro sondaggio lo confermano, solo il 26% dei dipendenti si è sentito pienamente supportato durante l’onboarding, un dato che a livello europeo raggiunge il 42%. Un onboarding ben gestito è una grande opportunità per la fidelizzazione dei talenti e per aumentare la produttività, accelerando l’integrazione del nuovo collaboratore. Al contrario, un processo carente genera costi di recruiting più elevati e impatti negativi sulla performance della persona e del team».

Tra le principali problematiche durante la fase di onboarding, il 43% dei partecipanti ha dichiarato di non aver ricevuto alcuna comunicazione su come si sarebbe svolto il primo giorno di lavoro, mentre il 79% non ha partecipato a nessun evento di benvenuto. Inoltre, il 22% ha ammesso di non aver ricevuto supporto adeguato durante il periodo iniziale. Le aspettative dei nuovi assunti sono chiare, il 79% degli intervistati ritiene essenziale ricevere informazioni pratiche, mentre il 43% chiede un programma di onboarding chiaro e strutturato. Il 46% desidera incontrare il proprio futuro manager prima di iniziare, mentre il 32% apprezzerebbe una visita esplorativa in azienda prima dell’inizio della collaborazione. Nonostante la consapevolezza dell’importanza dell’onboarding, molte aziende continuano a commettere errori che possono compromettere l’esperienza dei neoassunti: il 79% lamenta, ad esempio, di non aver avuto un momento di presentazione ufficiale, il 43% di non aver ricevuto un programma di onboarding in anticipo e il 16% ha dovuto pranzare da solo, senza un momento di socializzazione con i colleghi.

La qualità della formazione e del supporto durante la fase di onboarding influisce direttamente sulla produttività dei nuovi membri del team.

*Il seguente articolo è stato pubblicato su Italia Oggi Sette, il 7 aprile 2025

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