13. Oneri di utilità sociale
Dizionario breve sul welfare aziendale a cura di ADAPT e AIWA
di Antonella Mauro*
Definizione
Spese sostenute dal datore di lavoro relative a opere o servizi, fruibili dalla generalità o da specifiche categorie di dipendenti, che rispondono ad esigenze alle quali il legislatore attribuisce una rilevanza sociale (educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto). La rilevanza sociale di tali esigenze fonda il regime fiscale di favore al quale tali oneri sono sottoposti.
Di cosa parliamo
L’articolo 100 del TUIR identifica gli oneri di utilità sociale come spese relative ad opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto e disciplina il loro trattamento fiscale per la determinazione del reddito di impresa, prevedendone la deducibilità nel limite del 5 per mille dell’ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi.
In linea generale rappresentano, quindi, dei costi sostenuti dal datore di lavoro per rispondere a bisogni dei lavoratori che l’ordinamento ritiene meritevoli di tutela perché dotati di un intrinseco valore sociale ed espressione del sistema dei propri valori fondativi.
Il legislatore fiscale, in un’ottica premiale e incentivante, prevede che tali oneri sostenuti dal datore siano assoggettati ad un regime fiscale di favore che consiste, come si è visto, nella loro parziale deducibilità ai fini della determinazione del reddito di impresa.
Presupposti per la deducibilità nei limiti descritti sono:
– l’erogazione dei servizi in favore della generalità o di una categoria di dipendenti;
– la natura volontaria dell’atto datoriale;
– la finalità delle opere e servizi oggetto dell’investimento del datore.
Gli oneri di utilità sociale rilevano anche in un’altra circostanza. L’art. 51, co. 2, lettera f)del TUIR, come modificato dalla legge di Stabilità del 2016, infatti, prevede che non concorra alla determinazione del reddito da lavoro dipendente l’utilizzazione di opere e servizi riconosciuti dal datore volontariamente o in conformità a disposizioni di
contratto, accordo o regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di questi, nonché ai loro familiari ex art. 12 del TUIR nel caso in cui tali opere e servizi realizzino lefinalità di cui all’art. 100. Il puntuale riferimento alle sole finalità dell’art. 100 del TUIR e non all’intero comma 1, come previsto nella formulazione precedente, unitamente alla possibilità di attuare misure di welfare anche attraverso strumenti negoziali o regolamenti, consente di superare il limite del requisito della volontarietà come presupposto per accedere alle agevolazioni fiscali.
La scelta legislativa di non modificare direttamente l’art. 100 TUIR rende di non immediata soluzione la questione del trattamento fiscale ai fini IRES di tali spese qualora queste siano sostenute dal datore in ottemperanza a contratti, accordi, regolamenti aziendali. Su questo tema, come si evince dalla precedente ricostruzione del quadro normativo, convergono infatti due disposizioni del TUIR: da un lato, l’art. 100 che enumera le finalità tutelate e agevolate dall’ordinamento e detta il regime fiscale applicabile per le relative spese sostenute volontariamente dal datore, dall’altro l’art. 51 che esclude dal reddito da lavoro dipendente sia quelle sostenute volontariamente sia quelle che trovano il loro fondamento in una fonte negoziale o in un regolamento aziendale.
L’anello di congiunzione tra le due norme è l’art. 95 del TUIR che sancisce l’integrale deducibilità – con espressa previsione del superamento del limite quantitativo di cui all’art. 100 del TUIR– delle spese sostenute per il lavoro dipendente. Tra queste rientrano le spese sostenute dal datore per la fornitura di opere e servizi aventi le finalità dell’art. 100 erogate in conformità a disposizioni di contratto, accordo o regolamento aziendale.
Sintetizzando, dalla ratio dell’art. 51 TUIR e dalla sua interpretazione letterale e in combinato disposto con gli artt. 95 e 100 TUIR, si ricava che gli oneri di utilità sociale sono deducibili dal reddito d’impresa nel limite del 5 per mille dell’ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi, se erogate dal datore di lavoro volontariamente; nel caso in cui la fruizione di opere o servizi di utilità sociale siano invece riconosciute in conformità a disposizioni di accordo o contratto collettivo oppure di regolamento aziendale, le relative spese sostenute dal datore sono interamente deducibili (ex art. 95).
È questa, infatti, l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate secondo la quale “la erogazione dei benefit in conformità a disposizioni di contratto, di accordo o di regolamento che configuri l’adempimento di un obbligo negoziale determina la deducibilità integrale dei relativi costi da parte del datore di lavoro ai sensi dell’articolo 95 del TUIR, e non nel solo limite del cinque per mille, secondo quanto previsto dall’articolo 100 del medesimo testo unico” (Circolare n. 28/E, 15 giugno 2016).
Gli Oneri di utilità sociale nella contrattazione collettiva
Un aspetto critico emerso in sede di interpretazione da parte della medesima autorità è rappresentato proprio dalle parole utilizzate nell’estratto del provvedimento appena citato.
Con l’espressione “regolamento che configuri l’adempimento di un obbligo negoziale” l’Agenzia insinua il dubbio circa la necessità di adottare il regolamento aziendale (per definizione atto unilaterale del datore) sulla base di un accordo sindacale per poter accedere al regime della piena deducibilità dal reddito di impresa degli oneri di utilità sociale.
Le ulteriori successive interpretazioni fornite dalla medesima autorità non chiariscono i dubbi circa la questione controversa (ribadendo, anzi, l’impossibilità di ricondurre il regolamento esaminato nel caso di specie ad un obbligo negoziale). Emerge invece chiaramente lo sfavore dell’interprete istituzionale nei confronti di clausole che attribuiscano al datore la facoltà di modificare o interrompere discrezionalmente il piano di welfare attuato tramite regolamento, quand’anche la scelta datoriale sia motivata da un mutamento del contesto normativo o economico (risposta ad interpello n. 954-1417/2016).
L’intento è verosimilmente quello di evitare che si utilizzi lo strumento del regolamento aziendale per attuare politiche di welfare non durature e strutturali ma funzionali alla mera riduzione contingente dei costi, se non addirittura giustificate solo dal godimento dei vantaggi fiscali.
Pur tenendo presente che le circolari e le risposte dell’Agenzia non sono fonti, ma atti interpretativi con efficacia inter partes e che, quindi, su questi prevale la lettera della norma, nella prassi, in via prudenziale vengono stipulati accordi sindacali o contratti integrativi aziendali in cui si tratta genericamente il tema del welfare aziendale e si rimanda ad un regolamento aziendale la disciplina di dettaglio. In questo caso, tuttavia, la fonte risulta essere l’accordo e non il regolamento, che diventa soltanto un “regolamento attuativo”.
Con riferimento alle tipologie di servizi erogati, l’analisi della contrattazione collettiva aziendale del 2016 (Terzo Rapporto contrattazione collettiva ADAPT, 2016) rivela che quelli riconducibili alle finalità dell’art. 100 del TUIR sono in aumento rispetto al passato ma rappresentano comunque ancora una fetta minoritaria dell’offerta welfare e sono prevalentemente introdotti unilateralmente dal datore di lavoro (Welfare Index PMI, Rapporto 2017).
Si segnalano, tuttavia, con riferimento alle piccole e medie imprese, dati che rivelano un incremento del tasso di iniziativa relativo all’adozione di misure di sostegno economico ai lavoratori (convenzioni, alloggi, rimborsi per abbonamento a mezzi pubblici) formazione, sostegno a soggetti deboli e all’integrazione sociale (Welfare Index PMI, Rapporto 2017).
Riferimenti normativi
– 51, 95 e 100, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR)
– 1, co, 184 – 190, Legge 25 dicembre 2015, n. 208
– 1, co. 160, 161, 162, Legge 11 dicembre 2016, n. 232
L’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate
– Agenzia delle Entrate, Circolare n. 28/E, 15 giugno 2016
– Risposta ad interpello n. 954-1417/2016
Riferimenti bibliografici
Per una ricostruzione della disciplina fiscale e degli orientamenti dell’agenzia delle Entrate precedente al 2015
– D. Grandi, Fringe benefits: normativa fiscale e orientamenti dell’Agenzia delle entrate, Adapt University Press, 2014
Per una analisi critica sul punto
– Maino – G. Mallone, Welfare aziendale e produttività nella Legge di stabilità 2016, La Nuvola del Lavoro, Corriere.it, 7 novembre 2015.
– F.Brenna – R. Munno, Il welfare aziendale: aspetti fiscali, in Treu T. (a cura di), Welfare aziendale 2.0. Nuovo welfare, vantaggi contributivi e fiscali, Milano, Ipsoa, 2016
– E. Massagli, Le novità in materia di welfare aziendale in una prospettiva lavoristica, in M. Tiraboschi (a cura di), Le nuove regole del lavoro dopo il Jobs Act, Giuffrè, Milano 2016
Per una analisi empirica della contrattazione collettiva
– AA.VV., La contrattazione collettiva in Italia, III Rapporto Adapt, Adapt University Press, 2016
– Welfare Index PMI, Rapporto 2017
Antonella Mauro, ADAPT Junior Fellow @a_mauro89
*Il seguente articolo è stato pubblicato anche su Bollettinoadapt.it, il 23 ottobre 2017
Il Dizionario breve sul welfare aziendale è la nuova rubrica realizzata con ADAPT, la scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro. Un appuntamento settimanale nato non con l’ambizione di fornire le definizioni giuste per ogni ambito disciplinare, bensì con l’intento di condividere un glossario essenziale, scientificamente solido, ma anche comprensibile a tutti, per inquadrare quello che è già oggi uno dei più importanti contenuti del cambiamento del lavoro in atto nell’epoca della c.d. quarta rivoluzione industriale.