Welfare aziendale, ecco come cambiano le scelte dei lavoratori in base all’età, al genere e al reddito
Il provider Easy Welfare Edenred ha reso noti i dati riguardanti i comportamenti di imprese e lavoratori in materia di welfare. L’indagine, che considera un campione di circa 1.700 aziende, offre spunti interessanti per comprendere il fenomeno.
Qualche giorno fa, nel corso di un evento in diritta streaming, il provider Easy Welfare Edenred ha divulgato i dati riguardanti l’andamento delle scelte di imprese e lavoratori in materia di welfare aziendale per l’anno 2019. Grazie a queste stime – che fanno riferimento ad un campione di circa 1.700 imprese – è possibile analizzare come siano cambiati i comportamenti e i bisogni dei dipendenti, specialmente in base all’età, al genere e all’importo destinato ai servizi di welfare.
Il welfare nelle imprese: settori produttivi, dimensioni e contesti territoriali
Il primo dato interessante riguarda la diffusione del welfare aziendale nei diversi settori produttivi. A tal riguardo, il comparto di gran lunga più rappresentato dal campione considerato è quello dell’industria e della manifattura (46%). Tale dato è influenzato principalmente dalle misure introdotte nel Contratto Collettivo (CCNL) del settore, che ha previsto l’attivazione di piani di welfare con valori crescenti, pari a 100 euro nel 2017, 150 euro nel 2018 e 200 nel 2019. A seguire si trovano i settori dei servizi di consulenza aziendali (11%), del commercio (10%), della gestione di software e media (10%) e dei servizi bancari e assicurativi (9%). A chiudere il quadro ci sono le realtà del ramo immobiliare e dell’edilizia (3%), dell’energia (3%), dei trasporti (3%); risultano residuali gli altri (figura 1).
Figura 1. Il welfare nelle imprese per settore produttivo
Per quanto riguarda la dimensione aziendale, come emerge anche in altri approfondimenti sul tema (vuoi saperne di più?), le piccole imprese sembrano avere maggiori difficoltà ad implementare misure di welfare aziendale. Rispetto al tessuto industriale italiano – composto per circa il 98,3% da piccole imprese entro i 50 dipendenti, per l’1,4% da medie imprese che contano dai 50 ai 249 addetti e solo per lo 0,2% da imprese di grandi dimensioni con oltre 250 dipendenti – per Easy Welfare Ederned le piccole e micro imprese rappresentano solo il 44% del totale delle realtà clienti (figura 2). Questo suggerisce quindi che, ad oggi, l’adozione di misure di welfare attraverso il supporto di un operatore esterno sia ancora una strada percorsa principalmente da medie e grandi imprese.
Figura 2. Imprese che adottano misure di welfare per classe dimensionale
L’adozione di piattaforme online per la gestione dei servizi di welfare aziendale risulta inoltre essere per lo più prerogativa di aziende e gruppi societari con sede principale nelle regioni del Nord del Paese: l’81% delle piattaforme del campione di analisi serve infatti imprese radicate in quest’area. Un confronto con i dati Istat (riassunti nella figura 3) riferiti alla distribuzione delle imprese sul territorio nazionale conferma l’apparente ritardo di questo mercato nelle regioni del Sud Italia.
Figura 3. Imprese che adottano misure di welfare per contesto territoriale
Il “premio” welfare e la composizione del campione
L’indagine permette di conoscere anche l’importo che ogni impresa stanzia mediamente per i servizi e i benefit di welfare in favore dei lavoratori. Secondo i dati presentati, a fronte di un importo medio – calcolato cioè sulla base del campione complessivo dei beneficiari – di 860 euro a lavoratore (+10% rispetto al 2018), sembrano emergere delle differenze in base al settore economico. Si passa infatti dai circa 380 euro pro capite per dipendenti di imprese del settore “istituti di istruzione e ricerca” (rappresentanti l’1,1% del campione utenti complessivo) fino agli oltre 1.600 euro pro capite per dipendenti di “banche e assicurazioni” (20,2% del campione utenti complessivo). Il settore “industria e manifattura”, il più corposo nel campione complessivo (46% delle imprese e 37% circa del campione utenti), registra per il 2019 un credito welfare medio pro capite pari a oltre 700 euro (figura 4).
Figura 4. Importo medio dei benefit di welfare in base al settore produttivo
In relazione al campione di lavoratori considerati, l’analisi rileva una maggiore presenza maschile: 68% circa contro il 32% circa di presenza femminile. Tale stima riflette la media occupazionale definita nel 2019 dall’Istat che, fatto 100 il totale dei lavoratori italiani, rileva che circa il 60% sono uomini e il 40% donne; inoltre il gender gap in relazione al welfare è in buona parte dovuto dalla maggior presenza di imprese che appartengono a settori in cui c’è una maggior presenza maschile, come il comparto industriale. Ad ogni modo, non si evidenzia alcuna differenza rilevante se si confronta il credito medio di welfare degli uomini con quello delle donne. Maggiori discrepanze ci sono invece tra classi d’età: più il lavoratore sale d’età e quindi, si presuppone, anche di anzianità aziendale, più il premio dovrebbe essere elevato (figura 5).
Figura 5. Premio welfare per genere e classe d’età
Le “fonti” del welfare aziendale
In circa l’85% dei casi le prestazioni di welfare sono definite all’interno di un accordo (o regolamento) aziendale ed erogate unilateralmente senza il coinvolgimento dei sindacati. Nel 25% è invece introdotto attraverso il CCNL e nel 22% per mezzo della conversione del Premio di Risultato. Dato che tali “fonti” di finanziamento del welfare non si escludono, è interessante osservare anche in che modo queste possono combinarsi (figura 6).
Figura 6. Le “fonti” del welfare aziendale
Per quanto riguarda il Premio di Risultato, è interessante notare che la quota di lavoratori che scegli di convertirlo – in tutto o in parte – in budget welfare risulta molto più elevata rispetto agli anni precedenti: se nel 2018 solo il 18% decideva infatti di “godere” del premio attraverso benefit di natura sociale, nel 2019 la percentuale è salita al 31%.
Le scelte dei lavoratori e delle lavoratrici in materia di welfare
Per quel che riguarda la scelta dei servizi, le prestazioni più apprezzate riguardano l’area dell’istruzione dei figli (34%), la previdenza complementare (13%) e la sanità integrativa (8%). Seguono i fringe benefit, cioè i buoni e card per l’acquisto di beni (18%), e le prestazioni relative all’area ricreativa e al tempo libero (22%). Sono residuali le aree che si riferiscono al trasporto casa-lavoro (4%) e all’assistenza ai familiari non autosufficienti e ai disabili (1%).
Approfondendo tali dinamiche, appare chiaro che queste scelte dipendono soprattutto da due variabili: la disponibilità di spesa e l’età dei beneficiari. Per quanto riguarda il budget welfare disponibile, questo influisce soprattutto a causa del limite dei 258,23 euro relativo ai fringe benefit: all’aumentare del credito disponibile, infatti, i lavoratori tendono a spendere di più per istruzione, previdenza complementare e le prestazioni inerenti all’ambito ricreativo (figura 7). Come evidenzia il report, inoltre, la variabile relativa al credito disponibile è a sua volta determinata dalla “fonte” contrattuale che introduce il welfare: quando le prestazioni e i benefit di welfare sono definiti dalla contrattazione collettiva (CCNL), le cifre destinate ai lavoratori sono tendenzialmente più basse e in circa il 70% dei casi utilizzatieper l’acquisto di fringe benefit.
Figura 7. Le scelte dei lavoratori in base al “budget” welfare
In riferimento all’età sembrano esserci invece dei picchi di consumo del credito welfare per i rimborsi in materia di istruzione e educazione dei figli tra coloro che hanno tra i 35 e i 59 anni (dal 30% al 40% circa della spesa complessiva per queste fasce d’età) e un aumento sostanzioso dei versamenti verso enti o casse di previdenza complementare per coloro che hanno più di 55 anni (dal 30% al 45% circa). I lavoratori più giovani (al di sotto dei 35 anni) tendono invece a prediligere le prestazioni relative all’area ricreativa e del wellness e i fringe benefit (figura 8): ciò è anche dipeso dal fatto che, mediamente, i più giovani hanno premi welfare più bassi.
Figura 8. Le scelte dei lavoratori in base all’età
Alcune considerazioni
I dati diffusi da Easy Welfare Edenred permettono di fare alcune considerazioni sull’andamento del welfare aziendale prima dell’impatto del Covid-19. Da un lato appare evidente un aumento delle imprese e dei lavoratori coperti da strumenti integrativi. Inoltre, nel corso dell’ultimo anno si è registrato un aumento del budget medio che ogni lavoratore può spendere per prestazioni e misure previste dalla normativa, il che consente di avere margini di manovra maggiori e, in molti casi, di poter acquistare servizi riguardanti la sfera sociale.
Dall’altro lato emergono alcune rilevanti forme di disuguaglianza tra le imprese e i lavoratori. Sembrano evidenti le difficoltà per le micro e piccole imprese nell’introdurre queste prestazioni di welfare; allo stesso tempo, il fenomeno sembra essere scarsamente o per nulla diffuso nel Meridione e in alcuni settori produttivi che nel nostro Paese contano un numero di addetti considerevole, come quello della ristorazione o quello agricolo.
Vi sono poi alcune questioni che ci sembra cruciale riportare. In primo luogo – anche se è evidente che al crescere del budget welfare aumenti la componente di spesa relativa alle categorie istruzione, sanità e previdenza – i consumi dei lavoratori appaiono ancora sbilanciati sul fronte dei fringe benefit e in quello degli interventi inerenti alla sfera del tempo libero (viaggi, abbonamenti a pay tv, abbonamenti alla palestra, ecc); tendono quindi ad essere privilegiate aree di spesa più “distanti” dai bisogni di welfare primari.
Una dinamica sui cui è infine interessante soffermarsi riguarda i cosiddetti “residui”, cioè quella porzione di “conto welfare” che non viene spesa dal lavoratore e che resta nella piattaforma. Stando ai dati pubblicati da Easy Welfare Edenred, in media i lavoratori spendono poco più del 63% dell’importo complessivamente a loro disposizione: ciò vuol dire che il restante 37% “resta” nella piattaforma. Come vi abbiamo mostrato all’interno del nostro volume “Nuove alleanze per un welfare che cambia. Quarto rapporto sul secondo welfare in Italia”, si tratta di un problema comune che riguarda tutti gli operatori di welfare aziendale e che porta a interrogarsi circa la qualità e le conseguenze del processo di matching fra domanda e offerta in cui si inseriscono i provider (per maggiori informazioni vi rimandiamo alla lettura di questo approfondimento).
Considerando tutto ciò, sarà interessante verificare se e come queste dinamiche cambieranno durante l’anno in corso. Il Covid-19, infatti, avrà quasi certamente un forte impatto sull’ecosistema di welfare aziendale. A causa del lockdown, della relativa flessione dei consumi, dell’impatto della crisi sanitaria, ma anche delle conseguenze lavorative e sociali che ci attendono nei prossimi mesi – c’è da aspettarsi una minore disponibilità economica delle imprese, che hanno visto in molti casi una riduzione del loro fatturato e, di conseguenza, dei margini di manovra per strutturare piani di welfare aziendale. Al contempo però, come sottolineato da alcuni esperti (vuoi saperne di più?), è proprio nei momenti di crisi che fenomeni come il welfare aziendale sono destinati a crescere e rafforzarsi. Staremo a vedere, dunque.
*Il seguente articolo è stato pubblicato su Secondowelfare.it, il 21 luglio 2020