Welfare aziendale e fringe benefit: le possibili novità della Manovra
Alcuni emendamenti alla Legge di Bilancio potrebbero rendere strutturale il raddoppio dei fringe benefit a 516 euro. Secondo alcuni esperti, questo potrebbe dare alle aziende maggiori possibilità di programmazione in materia di welfare aziendale, ma bisogna stare attenti a incentivare la dimensione territoriale e le sinergie con il Pubblico.
di Paolo Riva*
È arrivato durante la pandemia, ma potrebbe restare. È il raddoppio dell’importo dei fringe benefit detassati. La misura di welfare aziendale è stata introdotta nell’agosto del 2020 e confermata nel 2021. In entrambi gli anni, come avevamo spiegato, le aziende hanno potuto offrire ai loro dipendenti una serie di servizi di welfare aziendale per un valore massimo di 516,46 euro, il doppio rispetto ai 258,23 euro previsti dalla normativa, totalmente esenti da tassazioni. Ora, con il lavoro del Parlamento, questa misura nata in emergenza potrebbe diventare strutturale.
Alcuni parlamentari di diversi partiti, dal PD a Forza Italia e dal Movimento Cinque Stelle alla Lega, hanno infatti presentato degli emendamenti alla Legge di Bilancio, attualmente in discussione, per stabilizzare l’incremento.
Roberta Toffanin, imprenditrice padovana eletta al Senato con Forza Italia, è una di queste. “Gli strumenti di welfare aziendale sono fondamentali, non solo come sostegno ai lavoratori e alle loro famiglie ma anche come veicolo per rimettere in moto l’economia”, ha recentemente spiegato. “Se l’impresa offre dei benefit ai propri dipendenti è giusto che ne ottenga la defiscalizzazione, come è giusto che i benefit corrispondano ad un valore adeguato che non può più essere quello previsto dal Tuir”, ha aggiunto la parlamentare.
Fringe benefit e pandemia
Col termine fringe benefit si definisce una vasta gamma di servizi e soluzioni che, per la normativa, godono di benefici fiscali: carte per acquisti (da spendere anche online), buoni benzina, beni e servizi per la mobilità sostenibile, polizze assicurative. “Ma il welfare aziendale non è solo i fringe benefit”, ci tiene a precisare Emmanuele Massagli, presidente dell’Associazione Italiana Welfare Aziendale (AIWA) e ha ragione: è innanzitutto servizi per istruzione, sanità, previdenza integrativa, assistenza per anziani e bambini.
Semplificando, si potrebbe dire che i fringe benefit sono la componente del welfare aziendale che meno ha a che fare col welfare in senso stretto, ma che è la più semplice da erogare. E che, a volte, può avere anche dei risvolti sociali. Durante la pandemia, per esempio, molti fringe benefit sono stati spesi per mascherine, igienizzanti e, soprattutto, dispositivi digitali per la didattica a distanza. Le risorse sono state dunque utilizzate dai lavoratori per rispondere a bisogni crescenti sul fronte della salute e dell’educazione. Bisognerà capire se questa tendenza continuerà anche quando il valore dei fringe benefit verrà stabilmente aumentato e, soprattutto, quando la pandemia sarà finita.
Buoni spesa e servizi per la famiglia
Secondo Valentino Santoni, ricercatore di Secondo welfare, “un importo più alto potrebbe consentire di usare i fringe benefit anche per scopi più sociali”. “Pensiamo a delle ripetizioni per i bambini o a delle visite mediche. Con 200 euro si poteva fare proprio poco ed era più facile che venissero spesi in buoni Amazon. Con 500 si può iniziare a programmare qualcosa”, ragiona. Per contro, continua il ricercatore, “va sempre tenuto presente che il welfare aziendale è una realtà ancora molto frammentata a livello di territori, settori e dimensioni aziendali. Non tutti i lavoratori ne beneficiano”.
Anche per chi gode del welfare aziendale non è sempre facile e immediato spendere il proprio credito per servizi come quelli per anziani o bambini. Dipende dall’offerta. “Con circa 500 euro di importo, i fornitori di servizi – in primis la cooperazione e l’imprenditoria sociale – avrebbero più margini per lavorare sull’offerta di natura sociale”, aggiunge Santoni.
Il parere dei sindacati
Altri osservatori fanno notare che stabilizzare l’aumento, anziché rinnovarlo di anno in anno, darebbe alle aziende maggiori possibilità di programmazione. Non solo. Alzare l’importo relativo ai fringe benefit, data la facilità con cui possono essere usati, consentirebbe a un numero maggiore di imprese di avvicinarsi al welfare aziendale, a cominciare proprio dalle PMI, storicamente meno coinvolte. Il contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici appena rinnovato, per esempio, prevede 200 euro di welfare aziendale all’anno e riguarda circa 60mila aziende, molte piccole e medie, per un totale di 1,4 milioni di lavoratori. Data l’entità dell’importo, è molto probabile che questa cifra venga in larga parte erogata proprio attraverso i fringe benefit.
Per Sergio Spiller, dell’Osservatorio nazionale sulla contrattazione di secondo livello della CISL, il raddoppio dell’importo dei fringe benefit “può essere utile a incentivare il welfare aziendale purché non diventi una scorciatoia per erogare salario detassato evitando il confronto per individuare i bisogni e le necessità specifiche dei lavoratori”.
“I fringe benefit non sono gli unici strumenti per favorire il welfare aziendale”, secondo Jorge Torre, che si occupa di contrattazione sociale e rapporto con il welfare contrattuale per la CGIL. “Per noi – argomenta – il welfare aziendale va combinato con forti ruolo e governance pubblici, che lo colleghino al territorio. Dobbiamo rinobilitare il concetto di welfare. Bisogna lavorare per creare rapporti tra il welfare aziendale ed il welfare territoriale. Dobbiamo orientare il sistema ad una relazione sempre più stretta con la rete dei servizi pubblici territoriali, in una dimensione sinergica e integrativa al servizio universale e con una funzione solidaristica rispetto alla comunità”.
Il lato economico
L’argomento più forte a favore dell’aumento dell’importo dei fringe benefit, però, sembra essere quello economico. Quando, nel 2020, è stato deciso per la prima volta il raddoppio, la Ragioneria dello stato ha fatto i conti. Basandosi sulle dichiarazioni dei redditi 2018, ha stimato che la perdita di gettito fiscale legata al provvedimento sarebbe stata di circa 12 milioni di euro l’anno. Pur tenendo conto di un’eventuale crescita dei lavoratori coperti da welfare aziendale avvenuta nel frattempo e aggiungendo anche un ulteriore aumento dettato proprio da questo provvedimento, i costi sembrano decisamente inferiori ai benefici.
Per Massagli di AIWA, “è una misura che si ripaga da sola”. È chiaro che i provider di servizi di welfare aziendale riuniti in AIWA hanno interesse ad aumentare l’importo dei fringe benefit e quindi anche il loro fatturato, ma altre stime sembrano confermare l’affermazione di Massagli. Un’elaborazione di The European House – Ambrosetti sostiene che il passaggio dai 258,23 ai 516,46 euro potrebbe portare ad almeno 4,7 miliardi di consumi al 2023, con un conseguente aumento dell’Iva riscossa di almeno 1 miliardo. L’analisi ipotizza un numero di lavoratori che beneficiano degli strumenti di welfare aziendale pari a oltre 6 milioni nel 2020-2021 e un importo medio di spesa di 380 euro.
Gli emendamenti sul welfare aziendale verranno discussi nei prossimi giorni e settimane, insieme a tutti gli altri. Alla scadenza del 29 novembre, ne sono stati presentati 6.290. Visti i tempi stretti, è molto probabile che alla Camera venga posta la fiducia sulla legge e che quindi le modifiche al Disegno di legge presentato dal Governo verranno effettuate solo al Senato. La Legge di Bilancio va approvata entro il 31 dicembre.
*Il seguente articolo è stato pubblicato su Secondowelfare.it, il 2 novembre 2021