Cerved: una nuova sussidiarietà per il welfare delle famiglie
di Giuliano Cazzola*
La crisi Covid-19 – sottolinea il Rapporto Cerved sulle famiglie italiane 2022 reso noto in questi ultimi giorni – ha messo sotto pressione il nostro sistema di welfare. Le criticità principali venute allo scoperto riguardano: un sistema sanitario forte nelle strutture ospedaliere e con eccellenti capacità di cura delle malattie acute ma fragile nell’assistenza di base e nella prevenzione, e con capacità di prestazione molto differenziate nel territorio; un livello di assistenza agli anziani molto distante dal fabbisogno; un sistema scolastico in difficoltà. Pertanto, il livello elevato di spesa di welfare a carico delle famiglie è anche conseguenza di queste criticità. Così, il Rapporto vuole essere un contributo a esaminare il welfare italiano e interpretarne le esigenze di cambiamento dal lato della domanda, analizzando la spesa e i comportamenti delle famiglie stratificate per fasce di reddito e per struttura dei nuclei familiari.
Per il Cerved il modello del welfare familiare può essere classificato in otto aree: • salute; • assistenza agli anziani e ai familiari bisognosi di aiuto (6,5 milioni di famiglie con persone che per età o per condizione di salute necessitano di accompagnamento o assistenza); • cura dei bambini ed educazione prescolare; • assistenza familiare generica (colf); • istruzione (dalla scuola primaria alla formazione universitaria e postuniversitaria); • cultura e tempo libero (incluse le spese per sport e spettacolo); • supporti al lavoro, ovvero le spese di mobilità e pasti per recarsi al lavoro; • previdenza e protezione, ovvero i versamenti per la pensione integrativa individuale e le assicurazioni contro i rischi personali e domestici. Ne deriva un volume di spesa del welfare delle famiglie che, nel 2021, è stato di 136,6 miliardi, pari al 7,8% del PIL. Ed è bene chiarire che si tratta di spesa privata, aggiuntiva a quella pubblica. Ogni famiglia ha speso mediamente 5.317 euro: 17,5% del reddito familiare netto.
La salute (38,8 miliardi) e l’assistenza agli anziani e ad altri familiari bisognosi di aiuto (29,4 miliardi) sono le aree più importanti: assorbono nell’insieme il 50% della spesa di welfare familiare. La terza area per volume è quella dei supporti al lavoro: 25 miliardi l’anno per trasporti, pasti e altri servizi di mobilità. Poi l’istruzione dei figli, con una spesa familiare di 12,4 miliardi; l’educazione prescolare e la cura dei bambini: 6,4 miliardi; 11,2 miliardi per l’assistenza familiare generica. La spesa per la previdenza integrativa e la protezione assicurativa è di 8,3 miliardi. L’area più piccola è quella della cultura e del tempo libero, con una spesa di 5,1 miliardi. Tutte le famiglie sostengono spese per la salute, per un importo medio lievemente superiore a 1.500 euro. Colpisce – segnala il rapporto – l’importanza delle spese nelle aree dell’assistenza: 2,1 milioni di famiglie sostengono ogni anno una spesa media di 13.780 euro per la cura degli anziani e di altri familiari; le famiglie con bambini in età prescolare sono altrettanto numerose (2,1 milioni) e spendono mediamente 3.000 euro l’anno per la cura e l’educazione dei figli, mentre i servizi di assistenza familiare (le colf) sono utilizzati da 4,4 milioni di famiglie, con una spesa media vicina a 2.600 euro.
6,2 milioni di famiglie sostengono spese per l’istruzione, con un costo medio annuo di 2.000 euro. Solo un terzo delle famiglie (8,4 milioni, 32,8% del totale) dispongono di coperture assicurative e previdenziali. E poco più di metà (14 milioni di famiglie) hanno sostenuto nell’ultimo anno spese culturali e per il tempo libero, acquistando libri o altri prodotti editoriali, partecipando a spettacoli o svolgendo attività sportive, con una spesa media di 360 euro. Includendo anche la componente pubblica in tutte le aree di spesa sociale, compresi gli ammortizzatori sociali e i sostegni alle famiglie e alle imprese, la spesa complessiva di welfare nel 2021 ha raggiunto il 44,7% del PIL. Si tratta di 785 miliardi, provenienti per l’80% dalla spesa pubblica e per il 20% dalla spesa privata. E quest’ultima è in larga misura a carico delle famiglie: 17,4% è la quota del welfare familiare, 2,7% la quota del welfare aziendale (le iniziative delle singole imprese) e collettivo (la raccolta dei fondi previdenziali e sanitari).
Le difficoltà del nostro sistema di welfare, secondo il Cerved, non possono però essere interpretate esclusivamente come effetto degli squilibri demografici e finanziari che riducono le capacità di prestazione delle istituzioni del welfare pubblico, né come mera conseguenza di un lungo ciclo di politiche di bilancio restrittive. Al fondo della crisi c’è il cambiamento della famiglia, la sua crescente fragilità nel garantire la coesione sociale e nell’esercitare il suo ruolo di protezione; e l’espansione della domanda provocata da questo cambiamento e dalla molteplicità dei profili e dei bisogni familiari. La famiglia, infatti, non è solo l’utente dei servizi pubblici e privati; è anche la struttura di base del sistema di welfare, la rete primaria di protezione sociale. I livelli di sicurezza e di coesione sociale nel nostro paese dipendono in larga misura dalla capacità della famiglia di assicurare la solidarietà tra i generi e tra le generazioni, di proteggere le persone fragili, di gestire il percorso educativo dei giovani e garantire la continuità del benessere con la trasmissione patrimoniale.
Quelle del Cerved sono considerazioni molto importanti e – benché recuperino antichi valori culturali – particolarmente innovative nel contesto delle dottrine oggi prevalenti ed egemoni del “dirittismo” che non solo estendono a dismisura i c.d. diritti civili (“libero fè licito in sua legge”), ma attribuiscono la responsabilità del loro riconoscimento allo Stato e alla spesa pubblica. Il che – come avverte il Rapporto – non è prioritariamente precluso dai limiti delle fiscalità generale e dalle politiche del c.d. rigore, ma dalla natura stessa delle prestazioni che richiedono attenzioni specifiche e particolari difficilmente riproducibili al di fuori delle relazioni nell’ambito dei nuclei familiari in una logica di sussidiarietà. Sulla base di questa riflessione ci azzarderemmo a “rovesciare la prassi”: la crisi del welfare viaggia in parallelo con la crisi e le trasformazioni della famiglia. Il modello di sicurezza sociale, alle origini, era stato pensato e organizzato per estendere la tutela oltre i confini della famiglia, quando si riteneva che il nucleo non fosse in grado di farsi carico delle prestazioni fondamentali, necessariamente garantite per legge. Se viene a mancare la famiglia lo Stato non è in grado di sostituirla nella sua funzione. Una flotta di grandi navi si arena se si spinge troppo sui fondali. Vi è allora la questione della frammentazione della struttura familiare, della sua atomizzazione e della fine della famiglia multigenerazionale.
Un terzo delle famiglie sono costituite da una persona sola e più del 60% da non più di due persone. Poco più del 20% sono composte da quattro o più persone. Altrettanto rapidamente cambiano i modelli di vita. L’instabilità delle relazioni familiari è in continua crescita: il rapporto tra separazioni e matrimoni è passato dal 14% nel 1990 al 29% nel 2000 al 54% nel 2019 (non consideriamo la riduzione straordinaria di matrimoni e separazioni del 2020, provocata dalle restrizioni imposte dalla pandemia). A questi trend, che segnalano un profondo cambiamento degli stili di vita e dei modi di intendere la famiglia e le relazioni interpersonali, deve essere correlata la riduzione continua dei tassi di natalità (numero di nati ogni mille abitanti) e di fecondità (numero medio di figli per donna), caduti molto al di sotto della soglia di sostituzione. La natalità, ancora superiore al 9 per mille nel 2010, è scesa sotto il 7 per mille; e il tasso di fecondità è fermo a 1,2 figli per donna. Se si esamina quindi, secondo i dati della ricerca Cerved, la composizione dei nuclei familiari risultante da questi fattori emerge che un terzo delle famiglie sono monocomponente: singoli, separati e divorziati, vedovi. A queste si aggiunge il 9,3% di genitori soli con figli a carico: complessivamente le famiglie con un solo adulto sono il 41,5% del totale. Le famiglie composite, caratterizzate dalla coabitazione con un anziano o con familiari diversi da coniugi e figli, sono poco più del 7%. Poco più della metà delle famiglie sono costituite da coppie, di cui 18,7% senza figli conviventi. E la struttura familiare influisce in modo determinante sulla condizione economica e sociale: basti dire che il reddito netto medio dei genitori soli con figli (22.800 euro) è la metà di quello delle coppie con figli adulti (45.300 euro). Quattro milioni di anziani, 28,9% del totale, vivono soli: costoro rappresentano – sottolinea il Rapporto 202 – il 16% delle famiglie italiane.
La frammentazione delle strutture familiari determina una crescente difficoltà delle famiglie nel sostenere la cura degli anziani, conviventi o non conviventi. Eppure l’accompagnamento e l’assistenza sono tuttora prevalentemente un impegno personale diretto dei familiari. Nelle famiglie con anziani o con persone bisognose di aiuto per il 67,3% dei casi l’assistenza è prestata esclusivamente da familiari, mentre il 32,7% utilizzano servizi domiciliari o residenziali. Che fare, allora? Certo non ce la possiamo cavare invocando il ripristino degli antichi costumi (o tempora, o mores). Alla luce dei dati sin qui esaminati emergano, secondo il Cerved due impegni prioritari per l’iniziativa pubblica: • Da un lato le grandi strutture dei servizi, la cui massa critica di investimenti a lungo termine e di risorse professionali coinvolte è tale da richiedere un indirizzo strategico e un impegno di risorse che solo lo stato può assicurare. Garantire l’eccellenza dei centri di ricerca, del sistema ospedaliero e delle reti sanitarie, delle università, della scuola pubblica è ruolo fondamentale dello stato. • L’altro impegno prioritario, dall’altro lato, è quello di assicurare l’equità sociale, oggi compromessa dagli squilibri che minano il welfare state. Secondo un’analisi della condizione economica delle famiglie italiane, 7,4 milioni di famiglie, il 28,8% del totale, appartengono alla fascia della debolezza, con un reddito medio netto di 13.900 euro. In questo segmento l’incidenza della spesa di welfare per i servizi incomprimibili (21,1% del reddito annuo) è difficilmente sostenibile, e il livello di rinuncia alle prestazioni è tale da segnalare un fallimento del ruolo sociale dello Stato.
Nei diversi ambiti di welfare è necessario – sostiene il Rapporto – ridefinire il perimetro delle prestazioni essenziali, da garantire a tutti, e che lo stato debba concentrare la propria iniziativa sull’obiettivo di assicurare la gratuità degli accessi a coloro che ne hanno realmente bisogno. Tutto ciò premesso il Rapporto del Cerved sulle famiglie italiane si conclude formulando dieci proposte di policy che riportiamo di seguito: (1). Scegliere il modello della sussidiarietà. Il cambiamento della famiglia è all’origine di nuovi e molteplici bisogni sociali che provocano l’espansione della domanda di welfare. E la famiglia, nella pluralità delle sue attuali strutture e scelte di vita, deve essere aiutata a gestire la propria funzione di protezione e coesione sociale. Le soluzioni di welfare più efficienti sono, in prima istanza, quelle offerte dalle istituzioni private e pubbliche più vicine alle famiglie (enti locali, imprese impegnate nel welfare aziendale, organizzazioni del terzo settore), capaci di individuarne puntualmente i bisogni, gestire relazioni continue, generare comunità. Il modello della sussidiarietà si propone come paradigma di riferimento per le politiche di innovazione sociale. (2). Incoraggiare il welfare aziendale che apporta risorse aggiuntive al sistema di welfare del Paese. Le imprese impegnate nel welfare aziendale diffondono servizi di prossimità, aggregano la domanda delle famiglie e rendono più efficiente la spesa privata, canalizzandola su soluzioni collettive. (3). Misurare l’impatto sociale dei progetti e degli investimenti socialmente rilevanti sulla base di modelli di misurazione del fabbisogno nel territorio, di pianificazione degli obiettivi di impatto sociale e di monitoraggio degli impatti ottenuti. (4). Rendere più selettiva la spesa pubblica perché l’approccio universalistico del nostro sistema di welfare state, con un ampio range di prestazioni gratuite o semigratuite per tutti, non garantisce l’equità. Nei diversi ambiti di welfare è necessario ridefinire il perimetro delle prestazioni essenziali, e che lo stato debba concentrare il proprio impegno da un lato sulle grandi strutture sanitarie, della ricerca e dell’istruzione per garantire l’eccellenza dei servizi, dall’altro sul sostegno alle fasce deboli per assicurare la gratuità degli accessi a coloro che ne hanno realmente bisogno. (5). Estendere la partecipazione alla previdenza complementare è un obiettivo primario per il futuro del Paese. Occorre rafforzare gli incentivi e aumentare la flessibilità delle soluzioni. Ma, soprattutto, è necessario promuovere la scelta consapevole dei lavoratori, in primo luogo i giovani. (6). Investire sull’assistenza agli anziani, che è l’area di maggiore divario tra le attese delle famiglie e l’offerta di servizi. Gli anziani chiedono assistenza domiciliare qualificata per mantenere una vita attiva nel proprio contesto relazionale. E le famiglie devono essere aiutate nella gestione continua della persona da assistere. Occorrono nuovi modelli di servizio configurabili secondo le esigenze individuali: dall’accompagnamento alla teleassistenza, alla cura sanitaria, a soluzioni residenziali flessibili. Il personale di assistenza deve essere professionalizzato e la qualità dei servizi deve essere riconoscibile e certificata. L’iniziativa pubblica dovrebbe sollecitare lo sviluppo di un mercato efficiente, facilitando l’aggregazione di imprese e reti capaci di offrire servizi di qualità a condizioni accessibili. (7). Avviare la creazione di un sistema nazionale Long Term Care a contribuzione privata contro il rischio di non autosufficienza avvalendosi dell’esperienza dei fondi complementari previdenziali e sanitari, che possono essere integrati con le prestazioni LTC sino a configurare un sistema di fondi di welfare: aziendali e collettivi, aperti e chiusi, per tutti i lavoratori dipendenti e autonomi. (8). Sviluppare i servizi sanitari di prossimità e prevenzione mediante lo sviluppo di un mercato destinato a integrare il SSN soprattutto per quanto riguarda la medicina di base e ambulatoriale, anche con lo scopo di ridurre la pressione sulla spesa pubblica. (9). Allineare l’Italia ai livelli di istruzione europei, aiutare le famiglie a sostenere il percorso formativo dei figli. Oltre che investire sul sistema scolastico e universitario, è fondamentale sostenere le famiglie nel percorso educativo dei figli. Si tratta di agire sulle consapevolezze delle famiglie e dei giovani diffondendo l’informazione sulle prospettive occupazionali, servizi di valutazione delle attitudini dei ragazzi e di orientamento scolastico e professionale, sostegni premianti come le borse di studio. Le aziende possono avere un ruolo di primo piano in questa iniziativa, supportando le famiglie dei lavoratori. Occorre attivare a questo scopo la collaborazione tra la scuola, l’università e le aziende. (10). La Conciliazione tra la vita e il lavoro è un obiettivo centrale per sostenere le famiglie nella gestione degli impegni di cura. Ed è una scelta determinante per affrontare il nodo della esclusione delle donne dal mercato del lavoro e sostenere il diritto alle pari opportunità nella vita professionale e pubblica.
*Il seguente articolo è stato pubblicato su Bollettino ADAPT 17 gennaio 2022, n. 2