Crollo della natalità: spicca l’assenza dei servizi a supporto della famiglia
di Anna Zattoni*
L’Italia, lo raccontano i dati, non è un Paese per genitori. Il tasso di natalità è ai minimi storici e, nonostante il numero di figli che le donne dichiarano di desiderare sia vicino a due, oggi in realtà la media per ogni famiglia è la metà (1,25).
Questo fertility gap – il più amplio in Europa, insieme a Grecia e Spagna – rivela la consapevolezza delle persone che fare i genitori è un lavoro difficile e costoso, soprattutto se si vive in un Paese dove non ci sono politiche di supporto alla famiglia. Ma rivela anche una disattenzione dei Governi dell’ultimo ventennio rispetto a questo fenomeno, che è invece strategico per la crescita sociale ed economica. Ancora oggi, più di una persona su tre (36%) considera che essere genitori in Italia sia ancora un ostacolo alla carriera, un’opinione condivisa dalle metà di chi ha figli (43,5%).
Dallo studio ADP Research Institute, realizzato su lavoratori con figli in Italia, emerge anche che uno su due (41%) tra i genitori che lavorano si aspetta un aumento in busta paga nel prossimo anno, anche perché in molti (46%) dichiarano di lavorare in straordinario non retribuito almeno 6-10 ore a settimana. E se non si possono avere più soldi, almeno che si aumenti la qualità della vita: uno su tre (28%) sarebbe disposto ad accettare una riduzione del salario in cambio di maggiore flessibilità di orari e spazi, mentre uno su due (43%) cercherebbe un altro lavoro se costretto al ritorno al full-time. Una percentuale che aumento per chi ha figli fino a un anno (55%) e fino a 5 anni (53%).
Un’emergenza che il Governo Draghi ha deciso di affrontare. Il 12 maggio 2022 è entrata in vigore la legge “Deleghe al Governo per il sostegno e la valorizzazione della famiglia”, detta anche Family Act. La legge è una riforma organica delle diverse politiche familiari che ha l’obiettivo di sostenere la genitorialità e favorire la conciliazione della vita familiare con il lavoro, con lo scopo finale di contrastare la denatalità e aumentare l’occupazione femminile nel Paese.
Anche il Decreto 105/2022, detto anche “Decreto conciliazione tempi vita-lavoro“, entrato in vigore a metà agosto, prevede disposizioni per migliorare la conciliazione tra attività lavorativa e vita privata per i genitori e i prestatori di assistenza, al fine di conseguire la condivisione delle responsabilità di cura tra uomini e donne e la parità di genere in ambito lavorativo e familiare.
La proposta di “Codice di autodisciplina di imprese responsabili in favore della maternità” avanzata dalla Ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità Eugenia Roccella continua e arricchisce questo approccio strategico al problema della denatalità e dell’occupazione femminile. Il Codice si dovrebbe articolare su tre linee principali di azione: continuità di carriera delle madri, formazione mirata nella fase di rientro al lavoro e adattamento dei tempi e modi di lavoro. In particolare, il Codice Deontologico dovrebbe essere articolato come un sistema di autodisciplina delle imprese che possa permettere una maggiore flessibilità per le donne lavoratrici sul tema della natalità, assicurando congedi e aspettative più lunghi e maggiore flessibilità lavorativa, unitamente al potenziamento del sistema degli asili nido.
Sono ancora pochi, infatti, i posti all’asilo nido – la copertura è inferiore al 33% – e la mancanza di un sistema fiscale che premi le famiglie con più figli riducendo la tassazione, come il quoziente famigliare, fanno sì che ogni anno più di 2000 donne si dimettano dal lavoro (fonte Ispettorato Nazionale del Lavoro) per l’impossibilità di gestire una famiglia e al tempo stesso crescere professionalmente.
Il codice fa esplicito riferimento al welfare integrativo nel creare un contesto favorevole all’occupazione femminile delle neo-mamme. Il welfare integrativo, chiamato in passato anche secondario, è ormai uno strumento fondamentale per il benessere delle persone, laddove quello “primario” riesce a soddisfare solo una parte della crescente domanda di assistenza per anziani e minori, meno del 15% e una famiglia su due (40%) rinuncia a curarsi perché non riesce a sostenerne i costi (Bilancio di Welfare delle famiglie italiane 2022″, Cerved).
È fondamentale infatti che, dove non arriva il welfare pubblico, sia incentivato quello aziendale che ha un ruolo di utilità sociale, come riconosciuto dal Tuir (art. 51, co. 2). Oltre alle misure più classiche e di tipo economico – come l’integrazione della maternità e la paternità, i campus e le vacanze studio – molte imprese offrono alle famiglie servizi come l’orientamento scolastico e a sostegno dei genitori nei momenti critici della crescita dei figli.
Per uscire da questo circolo vizioso di bassa natalità e bassa occupazione femminile, dove non si fanno più figli non tanto per il mancato desiderio, quanto per la paura dei costi economici e sociali di mantenerli, è fondamentale riprendere un dialogo costruttivo e di collaborazione tra Governo e aziende private. Supportando il welfare aziendale con utilità sociale, le imprese si troverebbero nella condizione migliore per poter avere un ruolo di “moltiplicatore sociale di benessere” perché a beneficiarne non sono solo i collaboratori, ma anche i loro famigliari e le comunità di riferimento.
*Presidente Jointly. Il seguente articolo è stato pubblicato su Ilsole24ore.it, il 15 marzo 2024