Smartworking, bollette e salute: in azienda decide il benefit
Dalla riforma del 2016 sono quattro milioni i lavoratori coinvolti dal welfare, undici se si considera la sola sanità integrativa. Un business ormai cresciuto a 3,3 miliardi
Nel primo quinquennio di vigenza della riforma del welfare aziendale, attiva dal 2016, i piani di welfare crebbero del 487 per cento. «Un numero eccessivo e troppo improvviso per accontentarsi delle spiegazioni “il welfare aziendale cresce perché arretra il welfare statale” o “il welfare aziendale è una forma di difesa dalle crisi economiche”», commenta Emmanuele Massagli, presidente dell’Associazione Italiana Welfare Aziendale (Aiwa). «L’affermazione del welfare è da ricercarsi nella sua capacità di leggere il grande cambiamento della natura del rapporto di lavoro in atto in tutto il mondo occidentale: non più solo salario in cambio di otto ore di presenza e fatica, ma anche beni e servizi sociali, smartworking, settimana corta, percorsi di crescita e formativi».
I numeri sono effettivamente rilevanti: almeno 4 milioni i lavoratori coinvolti, 11 considerando coloro che beneficiano soltanto dell’assistenza sanitaria integrativa e della previdenza complementare garantite dai contratti nazionali (una quarantina quelli che regolano la materia). Il valore del particolare “mercato” del welfare aziendale è di circa 3,3 miliardi, le imprese che adottano un qualche piano oltre 400.000, tra le quali anche micro e piccole aziende, in costante crescita. Nell’ultimo Rapporto del Ministero del Lavoro sugli accordi aziendali, aggiornato alla metà di ottobre, dei 17.955 contratti attivi, 14.472 si propongono di raggiungere obiettivi di produttività, 11.432 di redditività, 9.054 di qualità, mentre 1.616 prevedono un piano di partecipazione e 10.831 prevedono misure di welfare aziendale.
«La cosiddetta “welfarizzazione” del premio di produttività è solo una delle modalità attraverso le quali si può fare welfare anch’essa permessa dal 2016. L’anno dopo è arrivato l’ok anche alla regolazione nel contratto collettivo di primo livello. Queste due “forme” di welfare si sono associate ai tradizionali piani aziendali, o unilateralmente decisi dall’imprenditore o contrattati con il sindacato. Quale che sia la strada scelta — spiega Massagli — i beni servizi più graditi sono, nell’ordine: l’assistenza sanitaria integrativa, le forme di sostegno indiretto al reddito (buoni benzina, rimborso bollette, buoni spesa), le misure per la conciliazione vita-lavoro, il buono pasto, le soluzioni ricreative (palestra, cinema, viaggi) e la previdenza complementare». E fioccano le ricerche che spiegano quanto i benefit siano decisivi, per gli italiani, nella scelta di un lavoro. Tra le ultime, per il “Great Employee Benefit Study 2024” — promosso dal Gruppo Epassi e condotto dal team di esperti dell’Università di Aalto — oltre otto dipendenti su dieci prenderebbero in considerazione l’idea di cambiare posto di lavoro per un’azienda che offra un miglior pacchetto welfare.